Autoconvocati contro la legge Fornero

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Vi hanno par­te­ci­pato anche alcuni dele­gati del movi­mento degli eso­dati (che sono ancora quasi 250 mila, nono­stante il governo dia per risolto il pro­blema) e dei disoc­cu­pati over 50, che non si sa quanti siano, ma sicu­ra­mente più di un milione. Tema dell’incontro: il lan­cio di una cam­pa­gna nazio­nale per l’abolizione della legge For­nero sulle pen­sioni. La vignetta che accom­pa­gnava il mani­fe­sto di con­vo­ca­zione for­niva un’immagine fol­go­rante della situa­zione che si è venuta a creare nel nostro paese con il varo di que­sta legge: tre lavo­ra­tori anziani, curvi e stre­mati, sono impe­gnati in un lavoro di scavo stra­dale men­tre tre gio­vani sfac­cen­dati, cioè disoc­cu­pati, li stanno a guar­dare. La vul­gata main­stream, che cerca di con­trap­porre i gio­vani agli anziani, sostiene che i pri­vi­legi degli uni sono la causa delle pri­va­zioni degli altri. La realtà è molto dif­fe­rente: impo­nendo agli anziani di rima­nere al lavoro, quando ce l’hanno, fino allo sfi­ni­mento, e anche oltre, si chiude l’accesso al lavoro ai gio­vani, costrin­gen­doli a all’inattività, alla dipen­denza eco­no­mica, alla mise­ria e alla depres­sione; il tutto a bene­fi­cio di chi incassa i pro­venti dei risparmi rea­liz­zati con il taglio alle pen­sioni: che è l’alta finanza, quella che detiene gran parte del debito pub­blico dell’Italia e incassa ogni anno miliardi di inte­ressi.
</CW>Il Pre­si­dente di Con­fin­du­stria ha detto che la situa­zione ita­liana è para­go­na­bile a quella di un paese uscito dalla guerra (arriva in ritardo, c’è chi que­ste cose le pre­vede e dice da anni: ma dov’era allora Squinzi? A soste­nere, insieme a Con­fin­du­stria, i governi che ci hanno por­tato a que­sto disa­stro). Ma la situa­zione è anche peg­giore di ciò che sostiene Squinzi, che misura tutto in ter­mini di pro­du­zione, fat­tu­rati, pro­fitti, Pil. Per­ché l’Italia è ormai, più di ogni altro paese (in Ger­ma­nia si è appena decisa una ridu­zione dell’età pen­sio­na­bile) la terra dove lavo­rano – quando lavo­rano – solo più i vec­chi; con una pro­dut­ti­vità (quella tanto cara ai soloni di Con­fin­du­stria) che nella mag­gior parte delle man­sioni dimi­nui­sce ver­ti­cal­mente con l’età; men­tre i gio­vani – sia quelli che hanno stu­diato che quelli che non hanno potuto farlo — stanno a casa a spese dei geni­tori o dei nonni pen­sio­nati (fin che restano in vita); oppure vanno all’estero per cer­care di soprav­vi­vere.
Gli inter­venti che si sono suc­ce­duti dal palco dell’assemblea for­ni­scono un qua­dro dram­ma­tico di que­sto disa­stro: come si fa a fare la mae­stra d’asilo – si chie­de­vano in molte — o l’insegnante fino a 67 anni? E con classi sem­pre più nume­rose, senza soste­gno per i por­ta­tori di han­di­cap e i figli dei migranti, men­tre — per esem­pio — nelle scuole materne di Torino non c’è più una sola edu­ca­trice al di sotto dei 45 anni? Parla una mae­stra di scuola materna che dovrà restare al lavoro ancora per molti anni, men­tre sua figlia, che ha lo stesso diploma, resta a casa per­ché non ci sono più assun­zioni. E gli ospe­dali – stesso pro­blema — si riem­pi­ranno di infer­mieri e infer­miere ultra­ses­san­tenni, magari con le stam­pelle o il pan­no­lone – il loro – da cam­biare? E che senso ha imporre a un impie­gato ultra­ses­san­tenne di arra­bat­tarsi su pro­grammi infor­ma­tici che cam­biano con­ti­nua­mente e che un gio­vane di 20 anni impa­re­rebbe a usare in un bat­ter d’occhio, senza nem­meno fre­quen­tare un corso? Que­sto e altro nei lavori che sono a con­tatto con il pub­blico, e che tutti pos­siamo vedere. Poi ci sono i lavori che si svol­gono die­tro i can­celli di una fab­brica o di un can­tiere (dove è vie­tato entrare ai non addetti ai lavori), che sono per lo più molto più pesanti, non solo in ter­mini di stress, ma di vera e pro­pria fatica fisica, oltre che di peri­coli. Un anziano o un’anziana (e la legge For­nero col­pi­sce a morte soprat­tutto le donne) non ce la pos­sono fare: vede­vano a stento e con molta appren­sione, il tra­guardo dei 60 e dei 63 anni (e chi ha comin­ciato a lavo­rare da ragazzo o da ragazza, quello dei 35 e dei 40 anni di anzia­nità); e adesso se lo vedono spo­stato in avanti come in nes­sun altro paese in Europa o nel mondo…E li assale la dispe­ra­zione. Per­ché die­tro i risparmi rea­liz­zati sulla pelle di chi deve andare in pen­sione di sono vite ed esi­stenze distrutte.
E che non ce la si possa pro­prio fare è con­fer­mato da chi ha preso la parola per conto dei disoc­cu­pati over 50. «Non ci prende più nes­suno, anche se sap­piamo fare bene il nostro mestiere: sei troppo vec­chio ci dicono, e que­sto lavoro non lo puoi più fare». Ma non pren­dono nem­meno i gio­vani, per­ché devono tenersi gli anziani che hanno in orga­nico fino all’età di Matu­sa­lemme; o, più pro­ba­bil­mente, inven­tarsi una crisi o una ristrut­tu­ra­zione azien­dale, o una delo­ca­liz­za­zione per sba­raz­zar­sene. Per i gio­vani, poi – che sono stati al cen­tro di tutti i discorsi – il futuro pro­prio non c’è. Disoc­cu­pati o pre­cari, alla pen­sione non ci arri­ve­ranno mai; o, quando ci arri­ve­ranno, sarà al livello di quella sociale, al di sotto della soprav­vi­venza, nono­stante tutti i con­tri­buti che avranno dovuto sbor­sare nei periodi in cui avranno lavo­rato. E una pen­sione com­ple­men­tare, un’assicurazione sulla vita (il secondo pila­stro del sistema pen­sio­ni­stico ammo­der­nato), chi se la può per­met­tere?
Per di più, il tasso di con­ver­sione rischia di ridurre le pen­sioni al 50 per cento del sala­rio, o anche meno, per­ché è legato al cal­colo della spe­ranza di vita. Ma la spe­ranza di vita, ricorda un ope­raio, non è la stessa per uno che ha comin­ciato a lavo­rare a 14 o a 16 anni in un can­tiere e ha con­ti­nuato per tutta la vita a lavo­rare con fatica e per uno che ha vis­suto in una casa bor­ghese, ha sem­pre fatto lavori di uffi­cio e non si è mai negato una vacanza, un’alimentazione sana o una cura medica!
Molti met­tono sotto accusa non solo la legge For­nero, ma tutte le riforme pen­sio­ni­sti­che suc­ces­sive alla legge Dini (1995). Vogliono ritor­nare alla legge del 1969 e al sistema retri­bu­tivo. Per­ché i fondi dell’Inps non sono dello Stato, che li tratta come se fos­sero cosa sua, usando i con­tri­buti dei pre­cari (la gestione spe­ciale) e dei degli ope­rai (la gestione ordi­na­ria) per tap­pare i buchi delle casse in pas­sivo (com­presa quella dei diri­genti d’azienda, che hanno sfrut­tato gli ope­rai quando erano al comando delle imprese, e li sfrut­tano anche adesso che sono in pen­sione); o per coprire i con­tri­buti dei dipen­denti pub­blici che lo Stato non ha mai ver­sato e che ora, con l’unificazione con l’Inpdap rischiano di tra­sci­narlo nel bara­tro conti dell’Inps, nono­stante che di fatto siano in forte attivo. «I fondi dell’Inps sono dei lavo­ra­tori che hanno ver­sato i con­tri­buti», dicono in tanti, e vogliamo tor­nare a gestirli noi, come si faceva con le casse di mutuo soc­corso».
Dall’assemblea del 20 dicem­bre par­tirà dun­que una cam­pa­gna per l’abrogazione della legge For­nero che si arti­co­lerà in ogni città e in ogni azienda o ente e che sarà coor­di­nata da un gruppo volon­ta­rio dei Rsu pre­senti. L’obiettivo imme­diato è por­tare i sin­da­cati con­fe­de­rali e di base e i par­titi a fare pro­prio que­sto obiet­tivo (è una bat­ta­glia che abbiamo perso per­ché non l’abbiamo mai com­bat­tuta; non ce l’hanno mai fatta com­bat­tere. Ma adesso le cose devono cam­biare!»). Molti dei pre­senti si accin­gono a dare bat­ta­glia al con­gresso della Cgil (la mag­gio­ranza dei pre­senti è iscritta a que­sto sin­da­cato): «Per­ché, se con­ti­nuano su que­sta strada, anche i sin­da­cati rischiano di fare la fine dei par­titi». Ma la cam­pa­gna verrà con­dotta comun­que, indi­pen­den­te­mente dall’esito di que­sta bat­ta­glia con­gres­suale, in forma auto­noma (cioè, auto­con­vo­cata). Così que­sta ini­zia­tiva si va ad aggiun­gere ad altre bat­ta­glie di lavo­ra­tori, che si sono già svi­lup­pate al di fuori della gestione sin­da­cale o con­tro di essa: come lo scio­pero dei lavo­ra­tori dell’Amt di Genova o dell’Ataf di Firenze con­tro la pri­va­tiz­za­zione dell’azienda; o la rivolta dei cit­ta­dini e lavo­ra­tori liberi e pen­santi di Taranto o, nono­stante tutte le loro ambi­guità, i bloc­chi stra­dali del 9 dicem­bre, che in molte città hanno visto una forte par­te­ci­pa­zione di lavo­ra­tori, disoc­cu­pati e pre­cari. Il paese è alle corde, ma i lavo­ra­tori stanno ripren­dendo la parola. E non solo a parole. Prima o poi governo e par­titi, Con­fin­du­stria e sin­da­cati, dovranno farci i conti.


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