Carceri, 3 mila uscite con il decreto

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ROMA — Si estende la possibilità di accesso all’affidamento in prova al servizio sociale, sia ordinario che terapeutico. Si amplia a 75 giorni per ciascun semestre la riduzione della pena per buona condotta, aggiungendo uno «sconto» massimo di sei mesi rispetto alle misure già in vigore. Si ampliano le ipotesi di utilizzo del braccialetto elettronico: oggi si può dare solo a chi sta ai domiciliari. La novità è l’applicazione esterna: affidamento in prova, permessi, lavoro esterno.
Sono tre delle misure principali del decreto carceri che il governo, oltre ad un disegno di legge di semplificazione in materia di giustizia civile, approverà oggi. Lo ha chiesto a gran voce, e più volte, ancora ieri, il presidente della Repubblica. È un tema sul quale Letta ha riscosso per ben tre volte la fiducia del Parlamento e sul quale il governo è stato più volte ripreso dalle istituzioni europee.
Secondo le stime dovrebbero uscire dal carcere, nelle prossime settimane, sino a 3000 detenuti. Saliranno a 7000 se si includono coloro che sono già usciti in base a misure già emanate. Le norme incideranno sia sui flussi di ingresso in carcere che su quelli in uscita. Si rafforzano anche gli strumenti di tutela dei diritti delle persone detenute con la previsione di un nuovo procedimento giurisdizionale davanti al magistrato ed attraverso l’istituzione della figura del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute.
Non si tratta di un’amnistia o di un indulto: sarà tutto devoluto alla cognizione della magistratura di sorveglianza. Le nuove misure premiali non comporteranno alcun automatismo nell’applicazione dei benefici; sarà dunque escluso — rimarcano a Palazzo Chigi — «qualsiasi effetto di tipo clemenziale», mentre resterà l’automatismo fra inosservanza delle prescrizioni imposte con la concessione della misura premiale e la revoca del beneficio.
Saranno inoltre previsti benefici e sgravi fiscali in favore dei datori di lavoro che impieghino detenuti, nella consapevolezza che si tratta di «misure essenziali per garantire il percorso di rieducazione e di progressivo reinserimento sociale», si legge nella relazione che accompagna il decreto.
Fra gli interventi diretti a ridurre l’accesso al carcere si crea un nuovo reato relativo alla produzione o allo spaccio di stupefacenti nei casi di lieve entità delle sostanze (prima era solo una circostanza attenuante). Nei casi di allarme sociale contenuto (per esempio «il piccolo spaccio di strada, che, in base all’esperienza giudiziaria, molto spesso è praticato dagli stessi consumatori», si legge nel decreto), si crea un’ulteriore e autonoma fattispecie penale, anche questa svincolata da circostanze aggravanti come la recidiva, e punita con una pena che va da uno a cinque anni di reclusione e da 3.000 a 26.000 euro di multa. L’effetto sarà una significativa riduzione delle pene irrogate, fermo restando l’arresto in flagranza.
Oggi su 23 mila soggetti imputati, oltre 8 mila sono dentro per violazione della legge stupefacenti; mentre su oltre 40 mila detenuti condannati, quasi 15 mila stanno scontando pene inflitte per lo stesso tipo di reati.
Si elimina anche il divieto di reiterare l’affidamento terapeutico, «divieto che appare non appropriato in ragione delle peculiarità della condizione di tali soggetti». Altra modifica: si eleva a quattro anni di detenzione il limite di pena per la concessione della misura dell’affidamento in prova ordinario, in tutti i casi in cui sia valutata positivamente la condotta del condannato nell’ultimo anno.
Di grande effetto ma di scarso impatto pratico infine la previsione di incentivare una norma già inserita nella Bossi-Fini, ma poco applicata, che prevede l’espulsione immediata in alternativa agli ultimi due anni di pena, per alcuni reati minori. La platea potenziale è molto alta, sino a 4-5 mila persone, ma il dato si riduce di molto calato nel concreto.
Marco Galluzzo


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