La Google tax finisce nella bufera

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L’autogol sulla cosiddetta Web Tax o Google Tax, ancora prima che nella sostanza, è arrivato forse con l’infelice scelta del nome: una tassa su internet. Chi può appoggiare un balzello che si presenta tale senza apparire fuori dal tempo e quanto mai conservatore? Così ieri la lista delle reazioni negative si è allungata fino a coinvolgere con Matteo Renzi e i renziani anche quello stesso Pd che l’ha pensata e che è riuscita a introdurla con un emendamento nella legge di Stabilità.
Avrebbero dovuto chiamarla: «Tassa su chi vende pubblicità ed evade le tasse». Lungo ma più eloquente. Ma ormai la frittata è fatta. «Dalla nuvola digitale siamo passati alla nuvola nera di Fantozzi» ha ironizzato Renzi. «Abbiamo infilato un problema peggio dell’altro – ha aggiunto – sarebbe bello se si riuscisse a modificare le regole del gioco: l’Agcom chiude un sito senza passare da un giudice, ma anche il fatto che la web tax va posta nel luogo centrale, l’Europa, e non con una violazione dei trattati europei o diamo l’impressione di un Paese che rifiuta l’innovazione».
«Sulla Web tax il governo e l’aula di Montecitorio ascoltino le parole del neosegretario del Pd, Matteo Renzi. All’economia non servono feticci che sulla tecnologia chiudono l’Italia in un recinto rispetto al resto dell’Europa» gli hanno fatto eco i deputati del Partito democratico Michele Anzaldi, Lorenza Bonaccorsi, Federico Gelli ed Ernesto Magorno. «Con una maratona a tappe forzate – spiegano i deputati – la commissione Bilancio sta procedendo con scelte discutibili e poco discusse in sede parlamentare, come l’insensato riacquisto dell’isola di Budelli a spese dei contribuenti nonostante il parere negativo della competente commissione Ambiente, le perplessità sulla nuova formulazione della Tobin Tax realmente equa e pagata da tutti o la bocciatura dell’omogeneizzazione della tassazione sui giochi d’azzardo legali. Ora è arrivato anche l’ennesimo colpo alle imprese che operano nel mondo della tecnologia, una web tax che rischia di diventare un autogol per chi fa impresa in Italia». «Oggi è ufficialmente entrato in carica – hanno aggiunto i deputati del Pd ieri – il nuovo segretario del Pd, Matteo Renzi, eletto con quasi due milioni di consensi. Il suo discorso è stato accolto con soddisfazione anche dal premier Enrico Letta. Ora il governo traduca questa soddisfazione in fatti concreti. L’esecutivo ascolti le parole di Renzi sui rischi che la Web tax, così come è stata posta, ci fa correre nel rapporto con le imprese degli altri Paesi europei».
Ai renziani si sono unite facilmente tutte le associazioni che rappresentano interessi di parte. L’Amcham Italy, la camera di commercio di alcune società americane in Italia tra le quali c’è Google, ha parlato di «danno d’immagine provocato da questo provvedimento agli occhi della comunità internazionale». La Confindustria digitale attraverso il suo presidente, Stefano Parisi, si è unita al coro affermando che la Web tax «allontana gli investitori stranieri dall’Italia perché così si cambiano le regole solo da noi» ed è «incredibile che l’emendamento alla legge di Stabilità sia stato approvato dalla Commissione Bilancio della Camera perché c’è un evidente lesione del quadro comunitario. Sappiamo che anche il Tesoro ha dato parere contrario». «Questa norma, se fosse approvata, ci farebbe fare una brutta figura a Bruxelles, proprio nel periodo di presidenza italiana» osserva Parisi, ricordando che proprio l’Ue ha istituito «una task force per la fiscalità sul web che si esprimerà in autunno, sotto il semestre italiano. Allora perché non aspettare?».
Massimo Sideri


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