I sindacati: “Stabilità da cambiare ma si va in piazza senza violenza”

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ROMA — Diversamente in piazza. Con forza e rabbia, con disperazione anche, ma seguendo i metodi tradizionali del sindacato. Perché i Forconi sì, è vero, esprimono un disagio diffuso presente nel Paese, ma «hanno un’inclinazione autoritaria e repressiva », dice Susanna Camusso, Cgil. «Non li capisco quando dicono “tutti a casa”», osserva Luigi Angeletti, Uil. E «se la loro è una iniziativa che rappresenta interessi, allora non ci deve essere violenza», ragiona Raffaele Bonanni, Cisl.
Bastava sentire queste tre dichiarazioni dei tre leader sindacali, riuniti davanti a Montecitorio per sostenere le modifiche al ddl stabilità all’esame in queste ore, per percepire l’ansia di mettere dei distinguo tra “loro” e gli “altri”. “Loro”, le sigle sindacali confederali che ieri hanno fatto scendere migliaia di lavoratori a manifestare pacificamente in molte piazze d’Italia con cortei, comizi, striscioni, volantinaggio nei mercati di Natale (in Alto Adige), orchestre musicali (a Palermo, Catania e Messina). E gli “altri”, i Forconi, il movimento della rabbia eterogenea già scivolato troppe volte in aggressioni, scontri con la polizia, intimidazioni. Anche rivolte ai sindacati, come raccontano gli attacchi alle camere di commercio e alle sedi Cgil di Andria, Cerignola, Barletta, Biella, Savona dei giorni scorsi. «Ho difficoltà a parlare con chi mi assalta le sedi », rispondeva ieri pomeriggio la Camusso a chi se non fosse arrivato il momento di intavolare un qualche dialogo con i capi dei Forconi.
La giornata, per i tre segretari confederali, è iniziata presto. Alle nove l’incontro con i rappresentanti di Confindustria e con il vice ministro dell’Economia Stefano Fassina. «Ridurremo la pressione fiscale sul lavoro dipendente e sui redditi da pensione una parte di quello che recuperiamo con la spending review e la lotta all’evasione», cerca di tranquillizzare Fassina. Bene, anzi no, «benino», commenta Angeletti uscendo.
Mentre dentro, alla commissione di Bilancio della Camera, riparte l’esame degli emendamenti al ddl stabilità, fuori nella piazza di Montecitorio, e in molte città, comincia la manifestazione. Tutti concordi nel sottoscrivere il giudizio della Camusso: «Così com’è, quel ddl non è lo shock che serve al Paese». Ognuno però con le proprie ricette e le proprie priorità. «È urgente una restituzione del reddito ai lavoratori e pensionati attraverso detrazioni fiscali — sostiene il leader della Cgil — è strategico il reperimento delle risorse dalla lotta all’evasione, dalla tassazione delle transazioni finanziarie, dal rientro dei capitali dall’estero ». La Cisl è dello stesso avviso, però è «essenziale lo snellimento delle spese inutili e inefficienti della pubblica amministrazione ». E la Uil vede soprattutto quello che non c’è: «Il ddl non ha nulla per sostenere la crescita economia e l’occupazione. Il taglio del finanziamento ai partiti andrebbe anticipato al 2015».
Più o meno le parole usate nelle stesse ore dai rappresentanti sindacali regionali nelle piazze, affollate, di Milano, Cagliari,
Firenze, Mestre, Trento, Aosta e Trieste. E nelle assemblee partecipate di Potenza, Genova e Campobasso. A Torino, città di questi tempi caldissima, sfilano in 15mila in corteo (distanti da quello degli studenti, dove ci sono stati dei tafferugli con la polizia): si protesta contro il ddl e contro le politiche della giunta piemontese di Roberto Cota, per quello in tanti mostrano gli ormai famigerati mutandoni verdi. C’è anche qualcuno che fa la parodia a Calvani, il leader dei Forconi che gira in Jaguar. «La conclusione qualunquista del tutti a casa non ci sta bene», gridano dal palco installato sotto la prefettura torinese. E ancora lì si torna, a “loro” che non sono come gli “altri”.


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