Riforme, si riparte da zero. Archiviata la «bicameralina»

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ROMA — Dopo il passaggio alla Camera della riforma elettorale le schermaglie si concentrano proprio su quali forze politiche avranno la forza di raggiungere un accordo e imporlo agli altri partiti.
Il premier Enrico Letta insiste nell’affermare che «se ne parlerà dentro la maggioranza. Siamo una maggioranza che discute e deve trovare un’intesa anche sulle regole istituzionali». Il capo del governo ripete quanto detto durante il discorso di fiducia alla Camera e ribadito dal ministro Dario Franceschini, dopo gli interrogativi sollevati da un altro ministro, Gaetano Quagliariello (Ncd). Letta puntualizza ancora che «è passato il tempo delle minacce quotidiane, degli aut aut. Adesso c’è una maggioranza unita, coesa, che vuole fare le riforme». Impostazione rilanciata anche da Graziano Delrio, renziano, ministro per gli Affari regionali. Il dovere di questa maggioranza, afferma Delrio, «è quella di ricercare al suo interno una proposta da rivolgere anche alle altre forze politiche e che sarebbe un errore escludere da una riflessione sulle riforme che servono al Paese».
E tra le riforme ci sono quelle istituzionali. Dopo il passaggio di Forza Italia all’opposizione, viene meno lo strumento della «bicameralina», con il quale il governo aveva immaginato di avviare la revisione della Costituzione. Ora si dovrà procedere seguendo le disposizioni dell’articolo 138 della Costituzione, cioè con la possibilità di approvare le riforme sia con la maggioranza assoluta che con i due terzi.
L’abbandono dell’organismo, che sarebbe sorto dalla fusione delle due commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, giunge alla vigilia della quarta lettura di un’aula, necessaria trattandosi di una legge costituzionale. Una decisione legata anche ad alcuni calcoli. Dati alla mano sarebbero infatti venuti a mancare tre voti, ammesso che tutti i partiti della coalizione di maggioranza avessero partecipato allo scrutinio e si fossero aggiunti leghisti, Fratelli d’Italia e grillini dissidenti. E senza una maggioranza qualificata dei due terzi è possibile indire un referendum confermativo.
Parlando di legge elettorale, Silvio Berlusconi difende il Porcellum perché «con il suo premio di maggioranza era l’ultima possibilità di fare dell’Italia un Paese governabile». Il Cavaliere aggiunge che il nuovo sistema uscirà da un patto tra il Pd e i grillini. E ricorda in proposito l’inedita alleanza (Pd, M5S, Sel) che ha consentito di spostare da Palazzo Madama a Montecitorio l’esame del provvedimento che dovrà cancellare il Porcellum. Se fosse così, è quanto sostengono all’interno di Forza Italia, il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano sarebbe condannato a un ruolo irrilevante, a essere la ruota di scorta della maggioranza come ha detto Renato Brunetta. Lo stesso Brunetta intima al Pd: «Si scordi di fare il bello e il cattivo tempo con i suoi parlamentari che sono abusivi. O si trova un accordo o ci terremo la legge elettorale che uscirà dalle motivazioni della Consulta».


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Dimenticare Pontida

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Se davvero il vento è cambiato, nel Palazzo non ne è entrato un solo refolo. Né poteva essere altrimenti. Berlusconi ha innovato appena il look (senza doppiopetto). Per il resto, si è mimetizzato dietro Tremonti e Napolitano. Ha fatto propria la linea del ministro sui conti pubblici— subito la manovra da 40 miliardi, poi la riforma fiscale con tre aliquote— e il richiamo del Quirinale su Libia e missioni all’estero.

VOTI A PERDERE

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Il più sguaiato dei tribuni e il più felpato degli editorialisti di questi tempi hanno una cosa in comune. Si lamentano che i politici, tutti, non lavorano abbastanza. Bene. Per una volta possono darsi pace, dando uno sguardo ai calendari della camera e del senato. Stanno lavorando. Per la precisione stanno votando a testa bassa un decreto via l’altro, una fiducia e un’altra ancora. Questo è il «lavoro» che è ridotto a fare il parlamento, e dovrà  farlo per tutto luglio e anche agosto. Il presidente della Repubblica che con altri governi tuonava contro l’eccesso dei decreti e delle fiducie e che, con i tecnici già  in sella, aveva promesso «un vaglio rigoroso», non interviene. Anzi, quando interviene lo fa per rimproverare il parlamento e respingere ogni critica al governo.

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