Le sfilate con la mascherina nella Cina grigia per lo smog
PECHINO — C’era il sole ieri a Pechino. Doveva esserci il sole, dietro la nebbia sporca che avvolgeva la capitale. Ma ormai da molti mesi, prima di uscire di casa non si guardano più le previsioni del tempo: si consulta su Twitter l’indice della qualità dell’aria lanciato ogni ora dall’ambasciata americana all’indirizzo @BeijingAir. E ieri mattina alle nove l’apparecchiatura montata nel giardino della sede diplomatica Usa segnava 356. Significa che nel cielo sopra Pechino navigavano 356 microgrammi di Pm 2,5 per metro cubo di aria.
Secondo gli studi dell’Oms, l’Organizzazione mondiale per la sanità, bisognerebbe vivere in ambienti che non superino il livello 20. Sopra 300 gli scienziati dicono che uscire di casa o aprire le finestre è «hazardous», molto rischioso, perché le particelle di inquinamento del diametro di 2,5 micron si infilano in profondità nei polmoni e non ne escono più.
Quest’anno Pechino ha toccato 755 di Pm 2,5 il 12 gennaio: una sorpresa anche per gli scienziati, che avevano previsto una scala fino a quota 500. Il 21 ottobre Harbin, nella provincia nordorientale dello Heilongjiang, è arrivata a 1.000.
Ormai è normale: si guarda fuori dalla finestra e per uscire ci si mette in faccia una mascherina da sala operatoria, o di stoffa. I più consapevoli usano maschere antigas con il filtro. È diventata quasi una moda. Anzi, ora le maschere sono entrate nella moda, perché sabato a Nanchino le ragazze che sfilavano all’aperto in passerella per mostrare una collezione di gioielli le hanno dovute indossare.
L’ondata di smog in questi giorni si è allargata alle città del centro della Cina, ha avvolto anche Shanghai e Nanchino dove sono state chiuse le scuole, fermati i lavori di molti cantieri edili che creano altra polvere, spente le centrali a carbone più vecchie. Non è bastato a scacciare la cappa: centinaia di voli sono stati cancellati, i giornali hanno pubblicato immagini spettrali della sala partenze dell’aeroporto internazionale Hongqiao di Shanghai invasa dalla nube grigio-sporca.
Si calcola che un milione e duecentomila cinesi siano morti prematuramente nel 2010 per malattie collegate all’inquinamento dell’aria. L’Oms ha accertato che il Pm 2,5 causa il cancro ai polmoni. Il governo cinese ne è consapevole. A marzo il primo ministro Li Keqiang ha detto: «Non dobbiamo più inseguire la crescita industriale a spese dell’ambiente, perché non è buono essere poveri in una natura meravigliosa, ma non è buono neanche essere ricchi in un ecosistema degradato. E in definitiva respiriamo tutti la stessa aria, poveri, ricchi e governanti».
Ma l’industria cinese marcia ancora a carbone, ne brucia circa quattro miliardi di tonnellate all’anno, quanto tutto il resto del mondo messo insieme. Vanno a carbone le centrali che producono elettricità, le acciaierie. Pechino per esempio è circondata da acciaierie piazzate nelle città della provincia dello Hebei. In questa cintura industriale la maggior parte dell’occupazione è costituita dalle acciaierie, ci vorranno anni per ammodernarle.
Nel frattempo le autorità preposte alla tutela dell’ambiente sequestrano i barbecue piazzati nei cortili delle case di periferia a Pechino. Dicono che contribuiscono a disperdere inquinamento e sarà anche vero, ma certo cominciare dalle grigliate di periferia quando è un intero Paese di 1,3 miliardi di persone che soffoca, sembra un brutto scherzo. L’agenzia statale Xinhua comunque il 26 novembre ha annunciato l’importante operazione: 500 barbecue distrutti.
Qualcuno ha anche pensato che serviva un termine in mandarino per catalogare il fenomeno, perché Pm 2,5 suona troppo occidentale. Una commissione scientifica si è riunita e ha coniato «xikeliwu»: «materia di particelle fini». Il risultato è lo stesso, anche lo xikeliwu va nei polmoni. La comunità dei residenti stranieri si è affidata all’inglese e parla di «airpocalypse».
Guido Santevecchi
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