Senza riforma è messo a rischio tutto il sistema

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D’altronde, se domenica il sindaco di Firenze, Matteo Renzi sarà eletto segretario del Pd, i leader dei tre maggiori partiti risulteranno «extraparlamentari»: infatti non siedono alle Camere nemmeno Beppe Grillo e Silvio Berlusconi, appena decaduto da senatore. Eppure toccherà a loro, dall’esterno, affrontare il tema della riforma dopo la sentenza con la quale ieri la Corte costituzionale ha bocciato il sistema attuale: il cosiddetto «Porcellum», ritenuto illegittimo per un premio di maggioranza che non fissa la soglia minima per farlo scattare; e per l’impossibilità di esprimere la preferenza per l’uno o l’altro candidato.
La spinta a concordare una nuova legge dovrebbe prevalere su tutto. Ma non è scontato che avvenga; e se allungherà la legislatura o la farà finire a primavera. L’occupazione dei banchi del governo da parte dei deputati del Movimento 5 stelle, le bordate berlusconiane contro i senatori a vita scelti dal Quirinale e contro l’euro, aggiunte all’incognita del congresso del Pd, spargono un acuto odore di elezioni anticipate. Ma per fare che cosa? Il primo contraccolpo della decisione della Consulta è che nessuno probabilmente avrebbe una maggioranza: proprio come avvenne dopo il voto di febbraio. E le implicazioni istituzionali sarebbero perfino più gravi. L’opposizione grillina attacca da tempo il Quirinale: soprattutto perché è il punto di massima resistenza a una crisi di sistema.
Ma la soddisfazione generale e trasversale con la quale è stato accolto il verdetto della Corte insospettisce: nel senso che ognuno «legge» il responso per accreditare la propria riforma. Un interesse e un progetto comune non esistevano e non esistono, anzi: ognuno affida al sistema di voto una strategia diversa. I centristi di Pier Ferdinando Casini vedono nella sentenza un’indicazione per tornare al sistema proporzionale. In questo caso si consoliderebbero le «intese più strette» ma più omogenee tra Letta e il nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Un esito del genere, però, significherebbe la fine del progetto di Renzi, per il quale è vitale confermare e anzi accentuare il sistema bipolare.
È difficile prevedere le ricadute di questo terremoto prima di conoscere le motivazioni della decisione della Corte, in arrivo tra qualche settimana. Il rompicapo è oggettivo, e per il Pd lo è ancora di più, ad appena tre giorni dalle primarie. Berlusconi ha ragione quando dice che la sorte del governo Letta è nelle mani di Renzi. Se sarà segretario, o si rassegnerà a ingoiare un sistema imposto dall’attuale maggioranza, perpetuandola anche se la detesta; o dovrà cercare un’alternativa inseguendo la saldatura con i grillini o col Cavaliere: operazione temeraria. È una partita aperta, confusa e pericolosa. L’esigenza di approvare una riforma comunque rappresenta, in sé, un atto d’accusa contro i ritardi dei partiti, pungolati inutilmente per mesi dal Quirinale. Non è che la Corte costituzionale li abbia scavalcati: sono loro ad essere rimasti colpevolmente indietro. E la Consulta, ieri, ha smontato l’ultimo alibi.


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