Cgil: «È allarme cassa Il governo l’ha tagliata»

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ROMA. L’ultimo scandalo di una legge di stabilità iniqua e che non piace a nessuno (a parte il governo) è il taglio lineare e violento sugli strumenti di sostegno al reddito per chi è in cassa o in mobilità. Una riduzione, denuncia la Cgil, che in alcuni casi potrà addirittura spingere gli imprenditori a licenziare più velocemente, dato che quanto rimane nel piatto non servirà a coprire temporalmente una crisi aziendale, nell’attesa – come avviene di solito, e come è nella logica degli ammortizzatori – che l’impresa si possa riprendere e possa assorbire tutti o più lavoratori possibili.
L’allarme lo ha lanciato ieri la segretaria confederale della Cgil, Serena Sorrentino, mentre Susanna Camusso tornava a definire l’impianto più generale della legge di stabilità «un insieme di misure che incidono troppo sui lavoratori», ed entrambe hanno ricordato la nuova mobilitazione di Cgil, Cisl e Uil il 14 dicembre. «Non c’è alcun segnale che indichi una ripresa dell’occupazione nei prossimi mesi, quindi appare incomprensibile la scelta di tagliare proprio ora tutti gli strumenti di contrasto alla crisi», protesta Sorrentino.
Che poi passa a spiegare nel dettaglio gli interventi del governo: «Innanzitutto – dice – si taglia il fondo ai contratti di solidarietà di tipo “b”, quelli previsti dalla legge 236/93, e non si finanzia per nulla la misura prevista dalla legge 102/09 che consente l’integrazione dal 60% all’80 % dei contratti di solidarietà (previsti dalla legge 863/94) che hanno consentito di evitare licenziamenti e ricorso alla cassa in deroga. In più – aggiunge – si taglia la piccola mobilità togliendo quegli incentivi utili all’assunzione agevolata per le imprese dei lavoratori licenziati individualmente e collocati in mobilità».
Insomma: proprio nel clou della crisi, quando siamo ancora in attesa di segnali di ripresa perlomeno delle attività produttive, ma avendo la certezza (punto su cui concordano tutte le principali istituzioni economiche) che per il momento l’occupazione non aumenterà, in questa fase delicatissima il governo taglia i contratti di solidarietà (che evitano peraltro la spesa, maggiore, della cig in deroga, a carico del bilancio pubblico) e gli strumenti per la riassunzione dei licenziati (mezzi che alleviano tante situazioni di dramma personale e spesso familiare).
Ancora, spiega la segretaria Cgil Sorrentino, «sulla deroga si fa una doppia operazione: non ci sono le risorse per coprire il 2013 e non sono abbastanza neanche per il 2014, mentre si presenta una bozza di decreto con il quale si tagliano le mensilità di copertura per il 2014, 2015 e 2016. Abbiamo detto da sempre come Cgil che la deroga andava superata e introdotta una riforma per gli ammortizzatori che li rendesse universali, che coprisse tutti i lavoratori, anche precari, e di tutte le imprese con il modello assicurativo degli ammortizzatori ordinari. Un’operazione quindi senza pesi eccessivi per la fiscalità generale, utilizzando le risorse che ci sono».
Infine, protesta la Cgil, «ci sono cose bizzarre come il massimale dei 12 mesi nel biennio mobile con il vincolo di massimo 8 mesi nel 2014 e 6 nel 2015 e 2016. Sarà una lotteria e un incentivo a fare domanda appena emanato il decreto per ottenere il massimo di copertura, dall’altro una spinta ai licenziamenti visto che le coperture non coprono il tempo di una crisi o di una ristrutturazione».


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Su 1.070.557 lavoratori aventi diritto al voto hanno votato in 659.031, il 61%. Non tanti, ma come denuncia l’area programmatica «La Cgil che vogliamo», si può capire che la spinta a recarsi alle urne per votare un accordo già  ratificato dalla segretaria generale non sia stata così forte. In ogni caso i sì sono stati 526.447, i no 123.613 e gli astenuti 8.982 e dunque l’accordo siglato dalle tre confederazioni con la Confindustria ha raccolto il 79,88% dei votanti, qualcosa in più della metà  dei lavoratori interessati.

La crisi è finita, andate in pace

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