Nucleare, si tratta su ogni parola «Molto vicini all’intesa con l’Iran»

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WASHINGTON — Ore di discussioni, poi un’altra riunione nella notte per superare gli ultimi ostacoli. La trattativa sul nucleare iraniano ha vissuto ieri a Ginevra una giornata intensa, tra blocchi previsti e speranze. Un negoziato estenuante che potrebbe allungarsi fino ad oggi, magari senza la presenza del segretario di Stato americano John Kerry. Il capo della diplomazia ha in programma una visita a Londra, però può sempre tornare nella città svizzera per l’eventuale firma.
La nuova tornata di colloqui che ha messo l’Iran davanti ai ministri degli esteri dei 5+1 (Usa, Russia, Francia, Gran Bretagna, Cina, Germania) si è subito rivelata complicata. Con una battaglia su «ogni parola» della bozza finale. Molto duro lo scontro sull’arricchimento dell’uranio. Teheran ha chiesto che i Grandi riconoscano pubblicamente il diritto a condurlo. Nero su bianco. Impegno che i diplomatici non vogliono prendere, almeno in questa fase. E, per superare lo scoglio, si è pensato ad una formula vaga, senza riferimenti precisi. Braccio di ferro anche sull’impianto di Arak dove i lavori dovrebbero essere fermati per mostrare concretamente l’impegno di Teheran che però non vuole piegarsi a «eccessive concessioni». Da qui la trattativa notturna con la ricerca di una formula soddisfacente. Un pacchetto che le parti possano vendere anche in chiave interna per placare i rispettivi avversari.
Nel piano delineato dagli Stati Uniti è previsto un periodo di sei mesi durante il quale gli iraniani riducono sensibilmente l’attività nucleare e in cambio ricevono un alleggerimento delle sanzioni. Trascorso questo segmento temporale si può passare alla fase finale per chiudere il contenzioso. Se però l’Iran non dovesse rispettare i punti fissati, la diplomazia è libera di rispondere in modo adeguato reintroducendo le misure punitive. Molto severi, come in precedenza, i francesi protagonisti del meeting all’inizio di novembre quando si opposero all’accordo. Anche ieri il ministro degli Esteri Laurent Fabius ha ribadito come l’intesa debba essere «solida» e non di facciata.
Il fronte del no all’intesa resta comunque ampio. Negli Usa e in campo internazionale. Il Congresso americano ha solo sospeso il voto per nuove sanzioni ed è possibile che la questione venga riproposta tra una decina di giorni. Ben più dura la resistenza di Israele e dell’Arabia Saudita, due buoni alleati di Washington convinti che questa situazione vada a vantaggio dell’Iran. Ieri il principe Mohamed Abdul Aziz, ambasciatore saudita a Londra, ha avvisato che il regno non resterà a guardare e troverà il modo per migliore per difendersi. Parole che si legano non solo alla questione nucleare, ma al duello regionale che oppone la monarchia a Teheran.
Commentatori piuttosto critici verso le aperture di Obama, hanno indicato in modo netto come l’Iran abbia solo da guadagnare da una possibile svolta. A loro giudizio se i mullah hanno deciso di trattare è perché hanno disperato bisogno di un allentamento delle sanzioni internazionali. L’economia iraniana soffre da tempo, l’inflazione corre veloce, i contraccolpi commerciali sono pesanti. Ora in caso di un’intesa — sottolineano gli stessi analisti — Teheran potrebbe ricevere fondi consistenti dallo sblocco di alcune misure punitive: circa 7 miliardi di dollari. Inoltre l’Iran mantiene intatto l’apparato creato per sviluppare il programma nucleare. In particolare le 19 mila centrifughe — tra cui 3 mila di nuova concezione — che possono permettere al paese di fare ciò che vuole per arrivare alla Bomba.
Meno pessimisti altri osservatori per i quali la via diplomatica resta l’unica soluzione possibile, a patto che sia dotata di meccanismi di verifica nei confronti dell’Iran.
Guido Olimpio


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