Crimini del franchismo, processo a distanza
In Spagna il tentativo dell’ormai ex-giudice spagnolo Baltasar Garzón di aprire una causa per giudicare i crimini del franchismo si è scontrato con quelle istituzioni che ancora oggi non vogliono fare luce sulla storia del Paese. Per la magistratura e per il governo di Mariano Rajoy la vicenda è chiusa e riaprire la ferita non serve a nulla. In nome della pacificazione le istituzioni rivendicano l’amnistia sancita nel 1977 dopo la morte di Francisco Franco. Come la storia insegna ogni dittatura si chiude con una amnistia generale.
1936-1975, la lunga impunità
Nel 2008 Garzón aveva ricevuto un elenco dai familiari delle vittime e delle associazioni della memoria che riunivano i nomi di 143.353 uomini e donne fatti scomparire dal franchismo nel periodo che va dal 1936 al 1975. L’immediata risposta dell’Audiencia Nacional, che lo ha accusato di prevaricazione e sospeso dalla magistratura per aver aperto una inchiesta senza averne la competenza, ha messo in evidenza quanto la ferita della guerra civile spagnola sia ancora aperta. Garzón è stato poi assolto e la sospensione revocata, ma subito dopo, il 9 febbraio 2012, fu condannato all’interdizione dalla magistratura per 11 anni per aver effettuato intercettazioni illegali tra i detenuti e i loro avvocati nel caso Gürtel. Per Izquierda Unida (Iu) un vero e proprio linciaggio politico. Espulso dalla magistratura per aver svelato una rete di corruzione in cui è coinvolto il Partido Popular (Pp) e lo stesso primo ministro Mariano Rajoy. La destituzione di Garzón non ha però fermato le indagini parlamentari, che continuano a svelare i particolari di un intreccio di bustarelle che vede al centro Bárcenas, tesoriere del Pp.
Meglio emigrare
Rimosso dal suo incarico, il giudice, universalmente noto per le sue inchieste che nel 1998 hanno portato all’arresto del dittatore cileno Augusto Pinochet mentre soggiornava a Londra e ha reso possibile l’idea di una giustizia globale, ha deciso di lasciare la Spagna e trasferirsi in Argentina. Perché? La storia di Garzón e quella dell’Argentina si erano incrociati più volte. Nel 2003 è diventato presidente Néstor Kirchner che decise di fare dei diritti umani la politica principale del suo governo. In uno storico discorso all’Onu si dichiarò figlio delle Madri di Piazza di Maggio, poi furono derogate le norme che imponevano l’impunità e bloccavano la possibilità di nuovi processi. Dal 2003 si sono aperti centinaia di processi e molti militari sono stati condannati mentre altri vengono processati in cause che riguardano la dittatura militare (1976-83) con i suoi migliaia di morti, profughi e 30.000 desaparecidos.
Quando però in Argentina i processi erano bloccati, in Spagna Garzón iniziò azioni internazionali per giudicare i militari argentini. In un primo momento gli imputati non potevano uscire dal Paese perché l’Interpol aveva emesso un mandato di cattura internazionale, poi sono stati giudicati dalla stessa magistratura argentina. Uno di essi però, si è recato in Spagna e fu arrestato da Garzón. Da allora Adolfo Scilingo, noto per aver confessato la sua partecipazione ai voli della morte, in cui i desaparecidos erano gettati vivi in mezzo al mare, è rinchiuso in un carcere spagnolo e sconta una pena di 640 anni. I voli partivano dal famigerato campo di concentramento dell’Esma, diventato oggi «Espacio de la memoria y derechos humanos». Proprio in questo luogo storico, nella sede del Centro Internacional para la Promoción de los Derechos Humanos dell’Unesco ha l’ufficio l’ex giudice spagnolo. Prima di passare a dirigere il Centro, Garzón aveva cominciato a collaborare con il governo argentino fino a quando è stato formalmente nominato assessore della commissione diritti umani del Congresso. Garzón sapeva perché emigrare in Argentina, era consapevole che le sue idee sarebbero state promosse. Infatti il giudice Maria Servini de Cubría ha aperto una causa per giudicare i crimini del franchismo come crimini de lesa umanità, delitti che non prescrivono e non riconoscono frontiere. Per i corsi e ricorsi della storia la magistratura argentina si ritrova ora attuando uno scambio di ruoli, rivendicando quei diritti che vengono negati in Spagna.
Silenzio e omertà di Rajoy
Nel processo Garzón è stato chiamato a testimoniare e ha confermato che «in Spagna non si è mai indagato sui crimini di lesa umanità del franchismo», esiste al momento soltanto una inchiesta in corso a Barcellona sui bombardamenti dell’aviazione italiana contro i civili. Anche questa causa è stata aperta in Argentina dai familiari delle vittime del franchismo. Recentemente Amnesty International ha accusato la Spagna di non far nulla per investigare i crimini del franchismo e di non cooperare con la magistratura argentina. In un documento intitolato «Il tempo passa l’impunità resta» l’organizzazione denuncia l’atteggiamento dell’Audiencia Nacional che ha declinato la sua competenza in materia verso i tribunali locali che a sua volta hanno poi archiviato la richiesta. Amnesty ha dichiarato che la sentenza del 27 febbraio 2012, che stabilì l’impossibilità di indagare i crimini della guerra civile argomentando la vigenza della legge di amnistia e la prescrizione dei delitti, è un’interpretazione contraria al diritto internazionale. Il 5 ottobre scorso il giornale El País ha lanciato una dura accusa: «La Spagna non vuole processare il franchismo e impedisce anche che altri lo facciano. Lo Stato spagnolo reagisce ora come lo avevano fatto il Cile o l’Argentina 15 o 17 anni fa, quando il giudice era Baltasar Garzón e reclamava l’arresto dei dittatori, militari o poliziotti in nome del principio di giustizia universale. Il governo ha mentito per ostacolare la causa aperta dalla magistratura di Buenos Aires, assicurando per iscritto che ci sono numerosi processi aperti in Spagna per i crimini del franchismo. Successivamente ha rifiutato la videoconferenza come strumento processuale per raccogliere la dichiarazione indagatoria delle vittime. E adesso, dopo le prime imputazioni contro quattro torturatori della dittatura, due sono morti, il governo, i giudici e i fiscali invocano la legge di amnistia del 1977».
A Ginevra il giorno prima, lunedì 4 ottobre, al Comitato Onu sulle sparizioni forzate, Garzón denunciava lo Stato spagnolo perché non fa nulla per i suoi desaparecidos, affermando che ci sono 136.000 scomparsi non combattenti di cui non si è saputo più nulla. «Sono delitti permanenti che non prescrivono. Dopo 75 anni non c’è nessun documento, né studio, né iniziativa ufficiale» che determini la cifra esatta delle vittime. «Questo è il motivo che ci ha portati qui, l’impunità evidente consacrata dai massimi tribunali che hanno proibito ogni indagine». A settembre il Comitato delle Nazioni Unite aveva inviato due rappresentanti in Spagna per chiedere la deroga delle norme che impediscono l’apertura dei processi. Dopo la visita hanno dichiarato che la Spagna non può chiudere gli occhi sulla scomparsa di 114.000 spagnoli e circa 30.000 bambini rubati durante la guerra civile, chiedendo al governo la ratifica della convenzione sulla imprescrittibilità dei crimini di guerra e di lesa umanità.
Intanto mentre il governo promette di studiare la richiesta, il Partido socialista español (Psoe) e Izquierda Unida (Iu) hanno concordato di presentare nei prossimi giorni una proposta di legge per sollecitare al governo il ritrovamento e l’apertura, entro due anni, di tutte le fossi comuni dove giacciono ancora migliaia di vittime della guerra civile e della dittatura. Negli ultimi anni ne sono state aperte 400 dove sono stati recuperati i resti di quasi 6000 fucilati, ma restano almeno altre 2000 fosse clandestine con un numero imprecisato di vittime. Forse per questo passato che non passa è arrivato finalmente il momento della verità.
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