Lo sfogo dopo il sollievo: strategie folli, chi c’è dietro?

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ROMA — Riottenuta la fiducia della Camera — la seconda in quindici giorni, questa volta formale, ma non è certo un segnale di forza — Annamaria Cancellieri si sforza di mostrarsi ottimista: «Dimostreremo con i fatti di meritare l’esito di questo voto». Poi però, appena uscita da Montecitorio, arrivano le notizie sul verbale milanese di Salvatore Ligresti che sostiene di averla segnalata a suo tempo a Berlusconi, quand’era ancora prefetto, perché non fosse trasferita dalla sede di Parma. Una stilla di veleno costruita su una «inutile millanteria», si ribella il ministro della Giustizia. Che attacca: «È una follia, mi chiedo chi c’è dietro una simile strategia».
Evitate le dimissioni grazie al Partito democratico che s’è adeguato alla richiesta del presidente del Consiglio Letta di salvaguardare il ministro (e il governo) dalla mozione grillina, la Guardasigilli si trova immediatamente di fronte a un altro attacco. Ancora una volta fa vedere di non voler indietreggiare: «Io vado avanti per la mia strada — dice — ma mi domando a chi giovano queste manovre, e dove vogliono arrivare». La dietrologia, però, non trova risposte, e così non le resta che proseguire col suo lavoro. Del resto è ciò che ha chiesto ai deputati, e ciò che le è stato concesso. Anche se quella strada è accidentata. Più di prima. La stessa Cancellieri ne è consapevole. Per via del Pd che non ha smesso di tenerla sotto osservazione, anzi; il segretario Epifani le ha chiesto di «dimostrare con i fatti» che nel «caso Ligresti» non ci sono stati favoritismi, e che qualunque «senza voce» sia messo in condizione di «farle una telefonata».
Per tutta risposta, al bar di Montecitorio il ministro ricorda che l’ipotesi di istituire un «numero verde» a disposizione di chi voglia denunciare situazioni critiche di detenuti o altre vittime del cattivo funzionamento della giustizia «è una buona idea, alla quale stavamo già pensando». I suoi collaboratori annuiscono, ma pure loro sanno che soluzioni immediate e generali non esistono. Non c’è nessuna bacchetta magica che possa far superare all’improvviso l’emergenza; non a caso il presidente Napolitano aveva ipotizzato il ricorso straordinario ad amnistia e indulto. Inoltre il nodo posto dai democratici è politico, e quando arriverà Matteo Renzi alla segreteria potrebbe riproporsi con maggiore insistenza.
Col braccio destro al collo ancora dolorante dall’ultima operazione, Cancellieri ha provato a sfoggiare determinazione e fermezza. Guardava in faccia i deputati dei Cinque Stelle che volevano «mandarla a casa», quando respingeva «con assoluta fermezza i sospetti di un’odiosa giustizia di classe» dietro la scarcerazione di Giulia Ligresti; o mentre denunciava «congetture inaccettabili» su alcune frasi della telefonata con la compagna di Salvatore Ligresti. Ma non è servito a granché. Un deputato grillino torna ad apostrofarla come «il ministro che fa scarcerare gli amici», e lei allarga sconsolato il braccio che può muovere liberamente. Come dire che ogni altra spiegazione sarebbe inutile.
Meglio allora, per dare un senso a quel che sta accadendo, tornare ai decreti e ai disegni di legge che la responsabile della Giustizia intende presentare fin dal prossimo consiglio dei ministri. Oggi chiederà al governo di approvare le direttive sulle traduzioni degli atti processuali e l’uso degli interpreti per gli imputati stranieri, nonché in materia di pedopornografia e tratta degli esseri umani, necessarie ad adeguarsi alla normativa europea. Servono a evitare le procedure di infrazione che possono tramutarsi in condanne e sanzioni. La prossima settimana, invece, dovrebbe essere la volta di un decreto-legge utile ad alleggerire il sovraffollamento carcerario.
Le misure con effetto immediato saranno l’allungamento da tre a quattro mesi di liberazione anticipata per ogni anno di detenzione scontato e la reiterazione — facendola diventare definitiva — della legge che consente di trascorrere agli arresti domiciliari l’ultimo anno e mezzo di pena. A chi è detenuto a casa sua per una pena fino a 4 anni, sarà data la possibilità di accedere all’affidamento in prova ai servizi sociali, al fine di incentivare il rispetto delle prescrizioni. Infine, il decreto modificherà la legge Fini-Giovanardi sulla droga al quinto comma dell’articolo 73. La norma che regola le pene per la produzione, il traffico e la detenzione di stupefacenti diventerà autonoma, con un abbassamento della pena massima da 6 a 5 anni di prigione, in modo da rendere effettive le attenuanti e resti la possibilità di limitare o evitare l’ingresso in carcere.
Infine il ministero ha pronto un disegno di legge che dovrebbe facilitare l’accesso ai riti alternativi (patteggiamento e abbreviato), riducendo la possibilità dei ricorsi in Cassazione e accelerando i tempi dell’udienza preliminare. Questo nell’ottica di affrontare la «durata irragionevole dei processi» denunciata anche ieri dalla Cancellieri, mentre sulla riforma della carcerazione preventiva il governo interverrà con propri emendamenti nella discussione della riforma già in corso alla Camera. Anche con queste misure — che non sono un toccasana, ma si spera che abbiano effetto nel breve e medio termine — la Guardasigilli «rifiduciata» proverà a dimostrare che il voto incassato ieri può servire a qualcosa.
Giovanni Bianconi


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