Il pm: io l’unico che sbaglia? L’amarezza di Maddalena

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«Tutte, ma proprio tutte le mie domande al ministro erano state concordate con l’ufficio sulla base degli atti. E adesso io sarei diventato l’unico che sbaglia?».
Appena si erano aperte le porte del quinto piano Vittorio Nessi era scattato a passo sostenuto verso la sua stanza. E quasi sembrava che si trascinasse dietro una nuvola di cattivi pensieri. I sussurri, le voci e gli articoli di giornale. Il procuratore aggiunto dell’inchiesta Fonsai sapeva che molti, anche vicino a lui, lo consideravano autore della manovra che aveva messo la Procura di Torino in un vicolo cieco.
Quel 22 agosto, il capo Gian Carlo Caselli non poteva per ragioni personali. Il pubblico ministero Marco Gianoglio, che segue fin dall’inizio l’indagine, era appena partito per una breve vacanza. L’interrogatorio del ministro di Grazia e Giustizia toccava a Nessi. C’era stata una breve riunione. Ad Annamaria Cancellieri doveva essere chiesto se era lei la persona che parlava e della quale parlavano al telefono i familiari dei Ligresti. E poi un chiarimento su quali fossero i suoi rapporti con queste persone. Ma dopo l’arrivo dei nuovi tabulati, la vaghezza di quel verbale sembrava diventata la spiegazione di ogni male, per tutti. Perché non dimostrava presunte reticenze del ministro, ma neppure sgombrava ogni ombra sul suo conto; non dava appigli alla Procura per procedere, ma neppure per andare oltre a cuor leggero.
Ben presto a Nessi, comacino, buon maratoneta, hanno cominciato a fischiare le orecchie. «Non troverai la verità se non sei disposto ad accettare ciò che non ti aspettavi di trovare». L’accusa implicita era di aver preso alla lettera la frase di Eraclito che apre la sua prima e recente fatica letteraria. «Noi non possiamo combattere contro fantasmi che pescano nel torbido» diceva nei giorni scorsi. I fantasmi erano quelli della politica, che ha caricato i suoi tempi e le sue speranze sulla magistratura torinese. All’improvviso la Procura si è trovata in bilico su un crinale, stretta tra la necessità di non dare adito al sospetto di favoritismi nei confronti di un ministro e quella di non perseguitare nessuno, comunque un discreto paradosso per i discendenti del mite giacobinismo di Alessandro Galante Garrone.
La soluzione è arrivata seguendo la via gerarchica. Il Palazzo di Giustizia di Torino è uno dei pochi posti dove i capi fanno ancora i capi. Il vertice tanto atteso per decidere il da farsi era previsto per ieri mattina. Ma la decisione risale al giorno precedente, un colloquio tra Caselli e Marcello Maddalena, procuratore capo e procuratore generale, ultimi esemplari della tradizione giuridica di cui sopra. La patata bollente, questa era la definizione per i tabulati di Cancellieri e consorte, prende la strada di Roma. Eventuali accuse di ponzio pilatismo dovrebbero essere attenuate dal passaggio chiave del comunicato, quel «non si ravvisano reati allo stato degli atti» che comprende quindi anche l’ultima notifica della Finanza. «Abbiamo deciso secondo buon senso ed equità» è il commento di un anonimo ma molto autorevole addetto ai lavori.
La scelta del modello 45 o K che dir si voglia, viene motivata non solo con l’eventuale necessità di approfondimenti da parte dei magistrati romani, ma anche come l’allestimento di un contenitore che potrebbe accogliere atti in arrivo dal filone milanese dell’inchiesta sui Ligresti. Qualche sfregio sulla facciata della Procura rimane. Non è certo un mistero che molti giovani magistrati e le persone più vicine all’inchiesta vedessero nel comportamento del Guardasigilli gli estremi dell’abuso d’ufficio. A fine pomeriggio, Marcello Maddalena ammette che non tutto è filato come doveva. «Ormai è andata, ma c’erano cose che forse si potevano fare meglio». Alla richiesta di delucidazioni, mima il segno di una cerniera sulla bocca.
Intanto Nessi è ripartito per Como, visibilmente sollevato. «La bufera che ci ha travolti è finita» dice. A Torino contava solo questo. Il procuratore aggiunto ha spesso raccontato come quel giorno Annamaria Cancellieri, una volta saputo il motivo della visita del magistrato, abbia esclamato che se glielo avessero detto prima, sarebbe venuta lei in Procura, per non creare disturbo. In tal caso, oggi la competenza e la patata bollente sarebbero rimaste a Torino. Per carità ministro, è stato un piacere.
Giusi Fasano
Marco Imarisio


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