Fame di diritti. La sicurezza alimentare come priorità dello sviluppo

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La ragione è semplice. La sicurezza alimentare è stata assunta da tempo come una priorità nei processi di sviluppo dei territori, e non senza ragione. In mancanza di un lavoro difficilmente una persona potrà avere e mantenere una casa. In mancanza di strutture di riparo difficilmente la sua salute rimarrà integra, e non soggetta alle condizioni atmosferiche e all’assenza di adeguate condizioni igieniche. In mancanza di variazioni sostanziali di questi elementi e senza medicine e assistenza sanitaria difficilmente questa persona sarà in grado di avere una vita dignitosa. Quella appena descritta è una escalation che ha interessato alcuni dei principali diritti di ogni essere umano, diritto alla casa, diritto alla salute, diritto alla vita. Manca solo il convitato di pietra: il diritto al cibo. Senza nutrimento il fisico si debilita, lasciando il corpo più esposto alle malattie, meno abile al lavoro e più impossibilitato ad accudire se stessi o la propria famiglia. Il diritto al cibo risulta senz’altro una priorità per lo sviluppo di un individuo e del suo territorio anche secondo questa analisi semplicistica ma nondimeno intuitiva.

La sua formulazione teorica si è arricchita solo negli anni Novanta, alla fine della guerra fredda, quando si era ormai lontani dallo sterile e politicizzato dibattito a cui i blocchi politici e ideologici divisi dalla cortina di ferro avevano ricondotto l’annosa questione della priorità nella concessione dei diritti umani: gli occidentali contrapponevano i diritti civili e politici ai diritti economici, sociali e culturali che, presi in maniera assolutizzante, sembravano richiamare aspetti del modello statale socialista, i socialisti, strenui oppositori della concessione delle libertà fondamentali. La definizione di sicurezza alimentare proposta oggi si basa su quanto prodotto in occasione del World Food Summit della FAO nel 1996 e comunemente accettato: “La sicurezza alimentare esiste quando tutta la popolazione – in qualsiasi momento – ha accesso fisico ed economico ad alimenti sicuri, in quantità sufficienti e nutrienti, in modo tale da soddisfare i propri bisogni nutrizionali e condurre una vita attiva e salutare”. La disponibilità, l’accesso, l’utilizzo e la stabilità delle risorse alimentari sono dunque le dimensioni che sottendono il raggiungimento della sicurezza alimentare.

È evidente che si tratta di una questione ben più complessa della semplice somministrazione di aiuti alimentari dinanzi a situazioni emergenziali di malnutrizione acuta, poiché quando quest’ultima è una condizione endemica del territorio non si può intervenire solo con formule assistenzialiste, ma piuttosto occorre operare con azioni che mirano allo sviluppo. Secondo le stime della FAO, nel periodo 2010-2012 i sottonutriti cronici hanno rappresentato il 12,5% della popolazione mondiale, ovvero 870 milioni di persone, con percentuali più alte comprensibilmente concentrate nei Paesi in via di sviluppo. Seppur rapportati ai primi anni Novanta questi dati evidenzino un miglioramento della situazione globale, essi ritraggono ancora una criticità diffusa e a cui difficilmente si potrà dare una soluzione senza un approccio multisettoriale che rafforzi le diverse componenti alla base dello sviluppo delle comunità.

Non si tratta “solamente” di adottare un approccio integrato di filiera alimentare, attento sia alle attività produttive, sia alle fasi di conservazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti, ma anche di procedere di pari passo con l’accesso all’acqua, ai servizi igienici e sanitari, così come all’istruzione in quanto veicolo di diffusione di buone pratiche nutrizionali e igieniche, ma anche tecniche e gestionali. Il legame tra garanzia di sicurezza alimentare e pieno sviluppo umano sarà ampiamente affrontato nel convegno di Unimondo-Coopi Trentino da Franca Covini, sulla base della sua decennale esperienza come responsabile di area per i progetti di COOPI in Repubblica Democratica del Congo. Intervenire sulle condizioni politiche, sociali ed economiche che determinano l’eventuale “insicurezza” alimentare in alcuni territori è compito anche del diritto internazionale, come illustrerà il giurista internazionalista Marco Pertile, alla ricerca della formulazione di una normativa di distensione delle conflittualità che consenta di scindere la correlazione, innaturale solo in apparenza, tra la ricchezza di risorse e l’instabilità di uno Stato, ovvero la cosiddetta “maledizione delle risorse” che colpisce fra l’altro la stessa Repubblica Democratica del Congo. Fabio Pipinato, ex direttore di Unimondo, presenterà invece la campagna “Sulla fame non si specula”, di cui è uno degli ideatori: per dire “basta con la speculazione finanziaria sul cibo”, che costituisce anch’essa un elemento di forte instabilità e un ostacolo al raggiungimento della sicurezza alimentare.

Alla luce di queste riflessioni e di quante ancora emergeranno domani, appaiono allora totalmente condivisibili le parole del senegalese Jaques Diouf, ex Direttore Generale della FAO, che pochi anni fa affermò “Dobbiamo avere l’intelligenza e la capacità innovativa per concepire nuove politiche di sviluppo agricolo, regole e meccanismi che assicurino un commercio internazionale non solo libero ma anche equo, e che soprattutto garantiscano la sicurezza alimentare a tutti e offrano agli agricoltori, tanto nei paesi industrializzati quanto in quelli in via di sviluppo, i mezzi per guadagnarsi una vita decente”.

Miriam Rossi

 


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