Al via la Ley habilitante: più poteri al presidente Maduro

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Primo sì alla Ley habilitante. In Venezuela, il testo che concede al presidente Nicolas Maduro la possibilità di governare un anno per decreto ha ottenuto l’approvazione dell’Assemblea nazionale in prima lettura. La seconda, per il licenziamento definitivo del testo, ci sarà martedì 19. Come prevede la costituzione, il parlamento monocamerale ha dato il via libera in presenza di una maggioranza dei 3/5: ottenuta in questo caso con 99 voti su 165, dopo un acceso dibattito tra deputati del Partito socialista unito (Psuv) e quelli dell’opposizione conservatrice. La destra ha contrastato il tentativo «di distrarre i venezuelani dai loro problemi», l’illusione «di un’uscita rapida da una crisi molto più profonda di quanto si può risolvere con poteri speciali». «Potete rivolgervi a chi volete. Andate alle Nazioni unite. Ma qui ha votato il popolo, la patria e Chávez», ha dichiarato invece il presidente dell’Assemblea, Diosdado Cabello, a scrutinio concluso.
Il mese scorso, Maduro ha chiesto al parlamento l’approvazione della Ley habilitante, utilizzata molte volte da tutti i presidenti del Venezuela fin dagli anni ’70 e dal suo predecessore quando intendeva accelerare l’iter delle misure sociali. Il successore di Hugo Chávez intende servirsene per combattere «la guerra economica e mediatica» scatenata dai poteri forti, dentro e fuori il paese. «L’economia venezuelana sta attraversando una congiuntura particolare nella quale l’apparato produttivo subisce in pieno l’offensiva della speculazione, dell’accaparramento, del contrabbando e del mercato nero delle valute», ha detto l’8 ottobre il presidente davanti all’Assemblea.
Ad aprile, dopo aver battuto con uno stretto margine il leader di opposizione, Henrique Capriles, Maduro aveva promesso «un governo della strada», e una lotta senza quartiere ai mali storici del paese: speculazione, insicurezza, corruzione e inflazione stellare.Problemi incancreniti in quarant’anni di governi consociativi subalterni a Washington: mali difficili da sradicare in un paese che vive di petrolio e di rendita e importa ancora gran parte degli alimenti che consuma, a fronte dell’aumentato benessere. Guasti ampiamente bilanciati in 14 anni di governo chavista, durante i quali il paese si è trasformato, soprattutto dal punto di vista delle classi popolari, ma anche a vantaggio di altri settori, e il benessere si vede. Invece, a detta dei grandi media – controllati dal settore privato, che manovra ancora circa il 66% del Pil venezuelano -, il governo sta per implodere sotto il peso della propria inefficienza e di una inarrestabile crisi politica. I dollari ottenuti dalla vendita del petrolio crudo agli Usa non bastano per comprare gasolio, alimenti, farmaci. Ci sarebbe anche malumore nelle Forze armate nei confronti di Maduro. Per accelerare la crisi, l’opposizione intende trasformare le elezioni comunali dell’8 dicembre in un voto di sfiducia al governo: e se prima accusava Chávez – un militare – di troppo decisionismo, ora dipinge Maduro – un ex autista del metro – come un inetto. Da una settimana, Maduro ha lanciato un’offensiva contro «chi rapina il popolo» con l’usura e la speculazione. Ha imposto alle grandi catene commerciali, che infrangono la Legge dei costi e prezzi giusti, una drastica riduzione dei loro profitti stellari. Ha annunciato di aver arrestato «oltre 100 imprenditori borghesi» e istituito una speciale squadra di «10 professionisti dei diversi settori» per mettere alla corda burocrati e inadempienti nelle aree produttive.
Imprenditori e commercianti ribattono che i dollari sussidiati dal governo a cui hanno accesso non bastano per coprire i costi delle importazioni, e che i ritardi nei pagamenti li obbligano a ricorrere al mercato nero, dove il dollaro vale anche 30 volte il bolivar. Intanto, tra il 2011 e il 2013, il numero di venezuelani che va all’estero è raddoppiato ed è in continuo aumento: la maggior parte, torna con buona parte dei dollari ottenuti per viagggiare e li scambia al mercato nero.
«Anche con un’inflazione al di sopra della media il prossimo anno avremo una crescita del 4%», ha detto ieri il ministro delle Finanze, Nelson Merentes, illustrando la prossima finanziaria in parlamento. Il ministro del Petrolio, Rafael Ramirez, ha per parte sua difeso la decisione di fissare a 60 dollari al barile il prezzo del greggio, al di sotto del valore di mercato a livello internazionale: «per via di una situazione geopolitica che il governo non può controllare», ha detto. La produzione di 3 milioni di barili per il prossimo anno, rimane però stabile, in un paese che possiede le prime riserve di petrolio al mondo.


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