Sfida sulla legge elettorale Ora l’obiettivo di Renzi è ripartire dalla Camera

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ROMA — «Tutto si può dire di me, tranne che sono un fesso». Ed effettivamente di tutto e di più si dice, anche dalle parti del Pd, di Renzi, tranne che sia uno sprovveduto. Infatti, nelle more delle discussioni sulla legge di Stabilità («La Ue l’ha bocciata? Quindi esiste», è la battuta che il sindaco fa con gli amici) e in quelle assai più accalorate che riguardano Cancellieri («L’ho detto una volta e rimango della stessa idea: dovrebbe dimettersi, dopodiché si deciderà a maggioranza nel gruppo»), il sindaco non perde di vista l’iter della legge elettorale.
Certo, tutto gioca dalla sua. Le incertezze della ministra della Giustizia, gli ammonimenti dell’Europa, ma Renzi non si fida. «Ci sono troppe tentazioni di annullare il bipolarismo, di tornare alla Prima Repubblica. Tutti fanno finta che non sia così ma io sento che ci sono delle spinte fortissime. Però devono passare sopra di me, di più: sopra l’elettorato del centrosinistra che ha già deciso e preferisce il bipolarismo alle larghe intese».
Non è dunque una diatriba tra politici e professori la discussione, a tratti aspra, che sta avvenendo sulla riforma elettorale. Se Pasquino preferisce il Mattarellum e Violante invece è contro ed è a favore del doppio turno proposto da D’Alimonte e da lui sponsorizzato, non si sta parlando di un dibattito accademico ma di un braccio di ferro nel Pd.
Tutto comincia dalla bocciatura, ampiamente preventivata, alla commissione del Senato sull’ordine del giorno a favore del doppio turno. I grillini lo hanno fatto fuori. Dopodiché toccherà al Mattarellum. Sia bene inteso, bocciatura o approvazione che sia, in linea teorica, non cambierà granché. Sempre di ordine del giorno si tratta, quindi sempre di scelta politica, non di una legge o di un decreto veri e propri.
Dunque, tornando al Mattarellum, a Renzi in realtà non piace. Solo che non può dirlo. Non piace «perché non produrrebbe il bipolarismo di cui ha bisogno l’Italia». Ma è chiaro che il sindaco e i suoi non potranno dire di no. Possono affidarsi alle altrui contrarietà. A quelle del Pdl di rito berlusconiano e alfaniano. A quelle di Grillo che ancora non ha deciso cosa fare. A quelle di una parte del governo che vorrebbe un Porcellum ritoccato per far contento Alfano e dargli qualche voto alle elezioni politiche prossime venture. Non si sta parlando di Enrico Letta che la sua l’ha già detta: «Io a titolo personale sarei per il Mattarellum».
Però, al di là delle chiacchiere, del dibattito interno al Pd e della sua lunga campagna precongressuale, per Renzi e per i suoi, che, ovviamente, non possono dirlo, il massimo sarebbe veder bocciato anche al Senato questo ennesimo tentativo. A quel punto ci sarebbe il tempo e soprattutto il motivo per fare esattamente quello che ha chiesto Renzi, quello a cui mira da sempre, quello che, anche secondo Luciano Violante, nel suo intervento sull’Unità , può essere l’unico modo per rimettere in moto la legge elettorale. Ossia la «ripartenza» dalla Camera. Dove ci sono i numeri per il doppio turno su cui il Pd è ufficiosamente diviso ma ufficialmente non può dividersi.
Il trucco è tutto lì: togliere la pratica al Senato, dove inevitabilmente, visti i numeri, la legge può solo incagliarsi, e spedirla a Montecitorio dove c’è già una maggioranza.
È vero, Anna Finocchiaro, presidente della Commissione affari costituzionali di Palazzo Madama, non ha deciso da sola di mettere in stallo la riforma portandola in Senato. Le è stato suggerito dal governo. Fatto sta che era ovvio che in quel ramo del Parlamento la riforma si sarebbe arenata. Per questo motivo Renzi insiste. E non demorde: «Ci sono troppe tentazioni di un ritorno indietro, ma io su questo non mollo: bipolarismo, bipolarismo e ancora bipolarismo».
E la Corte costituzionale? C’è molta meno paura adesso. C’è la convinzione che le motivazioni della decisione della Corte non conterranno nessuna forzatura in senso proporzionale. Anche lassù, a Palazzo della Consulta, giunge l’eco dei malumori degli italiani.


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