Netanyahu: l’insediamento di 20mila case solo rimandato

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Il negoziato bilaterale ripartito a luglio ora è fermo. Israeliani e palestinesi non hanno in programma nuovi colloqui. La notizia è giunta dopo che i due negoziatori palestinesi, Saeb Erekat e Muhammad Shtayyeh, avevano offerto, per la prima volta, le dimissioni per protesta contro gli annunci di nuovi, allarmanti, progetti edilizi di Israele. «Possiamo convincerli a tornare, oppure formare una nuova delegazione». L’esito sarà sempre quello. Saeb Erekat, in una dichiarazione alla tv della Reuters, ha precisato che i colloqui si sono fermati una settimana fa «alla luce degli annunci di nuove colonie».
Non sono bastate ai palestinesi le critiche europee a Israele e le chiacchiere dure del segretario di Stato americano John Kerry. Israele in ogni caso non si ferma anche se martedì sera il premier Benjamin Netanyahu ha dovuto cancellare, per ora e all’ultimo momento, il piano di costruzione di altre 20mila case nelle colonie della Cisgiordania.
Il primo ministro israeliano ha bloccato anche l’attuazione del progetto E1, un pericoloso corridoio di colonie tra Gerusalemme e l’insediamento di Maale Adumim. «Occorre riconsiderare tutti i passi per la valutazione dei progetti di costruzione», ha scritto il premier israeliano, aggiungendo di vedere un confronto non necessario con la comunità internazionale nel periodo in cui Israele si è impegnato a persuaderla a trovare un migliore accordo con l’Iran». L’attenzione della comunità internazionale, ha aggiunto con puntigliosità e tracotanza, «non deve essere allontanata dal nostro principale obiettivo: impedire all’Iran di raggiungere un accordo che gli permetta di proseguire con il programma nucleare».
La colonizzazione perciò è solo sospesa per il momento ma è tutt’altro che terminata. La leadership palestinesedell’Anp, sull’orlo di una crisi di credibilità, comunque si dice soddisfatta.
Il capo negoziatore Saeb Erekat, prima di dimettersi aveva minacciato Tel Aviv di riprendere in mano le richieste di adesione dello Stato di Palestina a organismi internazionali per denunciare le violazioni israeliane delle leggi internazionali per i Territori occupati palestinesi.
A generare tensione è anche l’approvazione da parte del governo Netanyahu di un piano per la creazione di una nuova città ebraica nel deserto del Neghev. Sotto tiro la popolazione beduina dell’intera regione che ha già visto restringere ogni suo diritto. Rischiano subito i 600 residenti del villaggio beduino di Umm Al-Hiran, che sorge dove si pianifica la costruzione del nuovo insediamento.
Il progetto è parte del Piano Prawer, che prevede l’evacuazione (anche con la forza) dal Neghev delle comunità beduine che vi risiedono da decenni, alcune arrivate dopo il 1948, altre residenti nell’area da ben prima la creazione dello Stato di Israele. Il Piano Prawer prevede la distruzione di 45 villaggi non riconosciuti da Tel Aviv, l’espulsione e il trasferimento di 40-70mila beduini e la conseguente urbanizzazione in «township».
Infine, la confisca di terre. Il 30 novembre si terrà un nuovo evento nazionale, l’International Day of the Neghev – con manifestazioni convocata contro la confisca di terre palestinesi anche a Ramallah, Gaza City e in alcune città estere.
Una manifestazione si è tenuta ieri anche in Israele per protestare contro l’uccisione del soldato Eden Attias nella stazione centrale degli autobus di Afula (Galilea, in Israele).
Decine di persone sono sfilate minacciose scandendo slogan ostili ai palestinesi e assicurando che «questo sangue non è stato versato invano». Una dirigente del Likud, la viceministro dei trasporti Tzipi Hotoveli, sostiene che l’attentato è da imputarsi al presidente dell’Anp Abu Mazen «ed alla sua persistente campagna di incitamento contro Israele». Altri manifestanti hanno puntato l’indice contro lo stesso governo Netanyahu che, hanno detto, non usa il pugno di ferro contro i palestinesi.


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