Riforme, bocciato il doppio turno Napolitano: serve responsabilità

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ROMA — A sole tre settimane dalla sentenza della Consulta sull’attuale sistema di voto (il «Porcellum»), la proposta di nuova legge elettorale avanzata dal Pd, Scelta civica e Sel (doppio turno di coalizione) non ha i numeri per essere approvata dal Senato. La conferma di un impasse più che prevedibile è arrivata ieri al Senato dove la prima commissione (Affari costituzionali) ha approvato un ordine del giorno presentato dai democratici: ma i voti favorevoli (11), alla fine, sono stati meno della metà dei presenti (27) e, dunque, sono risultati insufficienti per aspirare a formare una maggioranza.
Così il Pd ha chiesto tempo al Pdl (che ha votato contro) e al M5s (che si è astenuto risultando comunque determinante per bloccare la proposta). Il Pd ha chiesto tempo almeno fino a mercoledì prossimo quando si deciderà la data in cui votare un ordine del giorno di Roberto Calderoli (Lega) che intende ripristinare il «Mattarellum», la precedente legge con i collegi uninominali, che potrebbe raccogliere molti consensi trasversali.
La conferma aritmetica che al Senato non c’è una maggioranza sulla legge elettorale è arrivata proprio nel giorno in cui il presidente della Repubblica ha chiesto più «senso di responsabilità» ai partiti: «So che oggi (ieri,ndr ) c’è una riunione della commissione Affari costituzionali al Senato e lì la discussione non è finita. Non si è gettata la spugna….Poi, certo, bisogna vedere gli esiti di questa riunione». Il Capo dello Stato si è astenuto, con una risposta neutra, dal commento su un possibile decreto legge in materia elettorale: «Dovete chiederlo al governo, non a me». Ma poi, quando gli è stato chiesto se conservasse ancora un po’ di ottimismo sul fatto che il Parlamento possa modificare la legge elettorale, ha risposto così: «Ci vorrebbe un briciolo di senso di responsabilità».
Il voto della I commissione del Senato, poi, mette una seria ipoteca sulla proposta rilanciata proprio ieri da Matteo Renzi, che intende proporre la legge per eleggere «il sindaco d’Italia» con il sistema del doppio turno. Ecco, allora, che i renziani tornano all’attacco per spostare l’iter parlamentare alla Camera dove, invece, il doppio turno di coalizione avrebbe una maggioranza: «Si sono buttati altri 3 mesi, tutti sanno che alla Camera vi sarebbero state le condizioni politiche e numeriche per approvare una legge elettorale che avrebbe potuto anticipare, e magari evitare, la decisione della Consulta», osserva il renziano Roberto Giachetti impegnato in un lungo sciopero della fame. La posizione del trasferimento dell’iter parlamentare alla Camera è condivisa anche da Luciano Violante (uno dei saggi nominati dal capo dello Stato dopo il voto di febbraio) ma, oltre alla Finocchiaro da sempre contraria, molti senatori del Pd e di Scelta civica non ci stanno a farsi scippare la legge elettorale: «Tanto poi dal Senato dovrebbe ripassare », avvertono Miguel Gotor (Pd) e Alessandro Maran (Scelta civica).
Nella votazione di ieri i grillini sono stati determinanti: si sono astenuti, ma l’astensione al Senato vuol dire voto contrario. E hanno presentato una loro proposta riassumibile in un sistema proporzionale ispanico (collegi piccoli)-elvetico che prevede, con le liste bloccate molto corte, la possibilità per l’elettore di depennare il nome di un candidato non digeribile.
Adesso, aspettando la decisione della Corte — che potrebbe anche cavarsela con un semplice monito al Parlamento — l’iter della legge elettorale continua ad arrancare stancamente al Senato. Almeno fino a quando non verranno sciolti altri tre nodi: Consiglio nazionale del Pdl (16 novembre), voto sulla decadenza di Berlusconi (27 novembre), primarie del Pd (8 dicembre). Il governo Letta è in attesa. E studia il testo del decreto legge per varare un «superporcellum» sostanzialmente proporzionale e quindi funzionale alle larghe intese. Prima di procedere per decreto, però, Letta ha bisogno del via libera parlamentare della sua maggioranza. La stessa maggioranza che ieri, al Senato, si è schierata su fronti opposti in materia elettorale.
Dino Martirano


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