Iran, l’accordo salta in extremis La Francia divide l’Occidente

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È stata una prova generale, forse qualcosa di più, ma non ancora l’inizio ufficiale di una nuova era. I negoziati al massimo livello tra le sei potenze mondiali del «5+ 1» e l’Iran sul programma nucleare di quest’ultimo, dopo tre giorni di fittissimi incontri e di crescente seppur cauto ottimismo, sono terminati senza accordi. Fonti diplomatiche già dal pomeriggio confermavano l’impasse, preannunciando la ripresa del round negoziale «tra qualche settimana», mentre il ministro degli Esteri di Teheran Mohammad Zarif ipotizzava nuovi incontri già «tra 7 o 10 giorni». Ufficiale è invece il motivo per cui la storica intesa è saltata, dopo 34 anni di guerra fredda tra Iran e Usa, dopo dieci di braccio di ferro con la comunità internazionale sulle ambizioni atomiche della Repubblica Islamica difese da questa come civili ma sospettate di scopi militari. Ieri è stata la Francia a puntare i piedi. E ad annunciarlo in diretta a France-Inter è stato il ministro degli Esteri Laurent Fabius, sul lago Lemano con i colleghi tedesco Guido Westerwelle, britannico William Hague e americano John Kerry, cui si sono aggiunti il russo Sergei Lavrov e il viceministro cinese Baodang Li. Con una mossa inedita da parte dei «5+1» – i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ovvero Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, più la Germania – Fabius ha rotto il tacito patto di non rendere pubblici i dissensi interni ai sei Paesi. «Nel testo iniziale ci sono punti che non accettiamo», ha detto, citando il reattore ad acqua pesante di Arak, in grado di produrre plutonio e quindi una bomba senza usare uranio arricchito, e di cui l’Iran vorrebbe completare la costruzione all’inizio del 2014 pur rimandandone l’attivazione. Un altro punto riguarda la distruzione delle scorte di uranio arricchito al 20%.
«Vogliamo un’intesa ma non siamo disposti a farci abbindolare», ha aggiunto Fabius, ricordando poi l’ostilità di Israele a un accordo che non preveda l’immediato stop al nucleare iraniano. Il premier Banjamin Netanyahu dall’inizio del disgelo tra Usa e Iran seguito all’elezione in estate del presidente Hassan Rouhani tuona contro una normalizzazione dei rapporti che sarebbe «solo di facciata». I negoziati a Ginevra, sostiene da giorni, sono uno «storico errore» e a poco è servita venerdì la telefonata di Barack Obama per assicurarlo che «gli Usa vogliono evitare un’atomica iraniana». Ieri Netanyahu è ripassato all’attacco, paragonando l’accordo che sembrava vicino a un «uragano devastatore». Eppure non è stato il primo alleato di Israele, Washington, a bloccare tutto, ma Parigi. Secondo fonti diplomatiche la Francia vorrebbe in realtà un accordo più ampio rispetto al «test» di sei mesi ipotizzato a Ginevra con una parziale riduzione del programma nucleare iraniano a fronte di un altrettanto parziale alleggerimento delle sanzioni contro l’Iran. Ovvero Parigi punterebbe non solo a scongelare parte dei proventi petroliferi di Teheran bloccati in banche estere (si è parlato di 50 miliardi di dollari) ma alla riapertura del mercato del greggio iraniano. In cambio di maggiori concessioni su Arak e le scorte di uranio, i «5+1» dovrebbero offrire una riduzione sostanziale delle sanzioni. Ma su questo il Congresso Usa si opporrebbe.
L’intesa con Teheran che ieri il tedesco Westerwelle aveva definito «mai così vicina» si è così rivelata più difficile di quanto non sembrasse anche (soprattutto?) per i contrasti politici ed economici tra i «5+1». In Iran, per la devastante crisi economica e grazie al no di Israele a un accordo che sarebbe più facile per il regime da accettare perché avversato dall’«entità sionista», ieri è emersa delusione. «La Francia è un emissario di Israele», ha attaccato la tv di Stato, mentre il presidente Rouhani più morbido dichiarava: «Spero che i 5+1 utilizzino l’eccezionale opportunità che abbiamo fornito alla comunità internazionale per raggiungere un risultato positivo in tempi ragionevoli». Anche il resto del mondo ha fretta: dopo tanti anni, è suo interesse che alla prova generale segua un vero disgelo. E non è un caso che ieri, a tarda notte, i «5+1» si siano di nuovo riuniti.
Cecilia Zecchinelli


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