Il gioco degli equivoci non riesce a velare le prove di scissione

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Non è la prima volta che avanza questa proposta. Ma stavolta cade in un momento in cui si è affacciata per qualche ora la possibilità di un compromesso tra filogovernativi e fedelissimi del Cavaliere. Significherebbe anche disinnescare una polemica sulla quale il partito sta rischiando la rottura, e il governo la crisi. Il problema è la volontà di abbassare i toni e scegliere una strada meno conflittuale. Per come si sono messe le cose, prima nella commissione per le elezioni che ha chiesto il voto palese, poi nel Pdl, è difficile ipotizzare un passo indietro.
Basta registrare le nuove accuse al presidente del Senato, Pietro Grasso, da parte del capogruppo Renato Schifani, che lo accusa di avere «piegato il regolamento a favore di una parte». Su questo punto, in realtà, il centrodestra mostra una certa unità. Per il resto, però, il pendolo quotidiano che oscilla fra guerra e tregua ieri è tornato a offrire l’immagine di una lacerazione in fieri . I “falchi” danno degli estremisti ai ministri e ai parlamentari che appoggiano il vicepremier Angelino Alfano nel sostegno alle “larghe intese” di Enrico Letta. E ritengono incomprensibile la divisione se tutti si riconoscono in Berlusconi.
In realtà, l’omaggio al leader è unanime; ma viene ribadito con obiettivi molto diversi. Gli avversari della maggioranza con Pd e Scelta civica ne fanno discendere che se il Senato vota la decadenza, subito dopo dovrebbe cadere anche il governo: magari usando la legge di Stabilità come grimaldello. Insomma, il destino politico dell’ex premier e quello di palazzo Chigi sarebbero legati in modo indissolubile. L’ala ministeriale, invece, critica l’uscita di Berlusconi dal Parlamento; ma non ritiene che questo comporti la fine della coalizione: anche perché il premier Enrico Letta ieri ha ribadito che la seconda rata dell’Imu non sarà pagata, facendo da sponda ad Alfano. Ma non basta a smontare una commedia degli equivoci nella quale nel Pdl ognuno tenta di scaricare la responsabilità di un’eventuale spaccatura sull’altro, senza che Berlusconi ne venga a capo.
«O si sta con lui o si è contro di lui», è l’aut aut per conto dei cosiddetti “lealisti” lanciato da Daniela Santanché: in teoria, un tentativo di piegare le resistenze di Alfano e dei suoi, che però di fatto rende più difficile qualunque intesa. Per il vicepremier, tornare indietro equivale a smentire la fiducia al governo del 2 ottobre scorso, assecondata allora dall’intero partito; rassegnarsi a una resa dei conti che falcidierebbe i ministri e quanti nelle ultime settimane si sono schierati per la stabilità; e subire la prospettiva di una crisi e di elezioni anticipate. «La linea Maginot è il 2 ottobre», scandisce il ministro Gaetano Quagliariello, evocando le fortificazioni francesi della Seconda Guerra mondiale. Ma davanti non ci sono “tedeschi”: i nemici sono esponenti dello stesso partito, con Berlusconi.
I vecchi compagni di strada adesso attaccano Quagliariello «avviato verso un centrodestra che non c’è». Alfano e i suoi “innovatori” vengono tacciati di slealtà nei confronti di Berlusconi. Con questi rumori di fondo, immaginare un approdo positivo rimane illusorio. D’altronde, la convocazione del Consiglio nazionale per il 16 novembre non è un’iniziativa distensiva ma sbrigativa. Sul dopo, però, gli scenari rimangono aperti. Al Cavaliere non serve un ritorno a Forza Italia offrendo di sé l’immagine di un leader che provoca o subisce una scissione. Dopo avere tentato l’accordo, potrebbe anche optare per un’operazione che rimescola tutto e tutti, “colombe” e “falchi”. Sarebbe l’ultimo trucco di un prestigiatore che sta esaurendo il repertorio.


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