Cancellieri passa la prova Aula tra autodifesa e «dispiacere»
In molti ci eravamo affezionati all’immagine di “nonna della Repubblica”, di fedele funzionaria dello Stato estranea alle caste e per questo ascesa al Viminale, al novero dei nomi per il Quirinale, al ministero della Giustizia. Le intercettazioni telefoniche hanno invece dato l’impressione che pure Annamaria Cancellieri appartenga al mondo incantato e detestato dove si guadagnano 3 milioni e 600 mila euro in un anno, tutti conoscono tutti e quando serve sono «a disposizione» per aiutarsi l’un l’altro. Ieri, prima al Senato poi alla Camera, il ministro ha tentato di ripristinare appunto la figura pubblica di «tranquilla signora», che mai ha anche solo «concepito» di venire meno al proprio dovere, ma è stata tradita dal «sentimento di umana vicinanza» e dalla volontà di entrare in «empatia» con un’amica «prostrata»: «Non ho artificiosamente distinto, né ho tentato di farlo, il ministro dalla persona. Sono stata me stessa in ogni momento». E comunque la Cancellieri esprime «dispiacere e rammarico» se appunto «i sentimenti hanno prevalso sul doveroso distacco», invitando a essere giudicata non dalle parole ma dai comportamenti, con un tono che non aveva nulla della veemenza del giorno prima.
Se il ministro sia riuscito a dissipare l’ombra, il Parlamento non l’ha detto, e non solo perché non ha votato la mozione di sfiducia. A ogni partito non importava molto del profilo istituzionale della Cancellieri, della correttezza della sua condotta, della sintonia con l’opinione pubblica ripristinata o perduta da uno dei pochi ministri che finora godeva davvero di un consenso oltre gli schieramenti. Ognuno ha badato agli interessi di parte. Al Pd premeva chiudere frettolosamente la questione – «il chiarimento è avvenuto…», ha detto il giovane Speranza, capogruppo alla Camera -: il governo è talmente debole che sfilare un tassello così delicato come la Giustizia farebbe precipitare tutto, anche perché la scelta di qualsiasi sostituto sarebbe misurata come una mossa pro o contro Berlusconi. Il Cavaliere e il caso Ruby sono stati evocati tre volte da Brunetta, che ha ravvisato nella Cancellieri «la stessa motivazione umanitaria» e la stessa «bontà umana» dell’ex premier. I Cinque Stelle non si sono lasciati sfuggire l’occasione per denunciare la distanza tra «i cittadini di serie A, che hanno il cellulare del ministro, e i cittadini di serie Z, che alle Poste fanno la fila anziché andare direttamente dal direttore anche solo per spedire una raccomandata». Oltre ai vendoliani, pure i leghisti hanno chiesto le dimissioni della Cancellieri «per difendere le istituzioni repubblicane», com’è noto da sempre in cima ai pensieri della Lega. Il più caloroso con il ministro è stato Enrico Letta, che dopo l’intervento al Senato ha applaudito a lungo in un’aula freddina e le ha stretto il braccio sinistro, quello insensibile che la Cancellieri non riesce più a muovere in attesa di un’operazione rinviata da troppo tempo. Per il resto, l’applauso più fragoroso sentito nella giornata è quello che i 5 Stelle hanno rivolto agli studenti dell’istituto tecnico industriale Antonio Pacinotti di Scafati (Salerno), in visita a Palazzo Madama.
Al suo ingresso in aula, la Cancellieri viene festeggiata dalle senatrici del Pdl: la baciano e la abbracciano Annamaria Bernini e Paola Pelino, quella dei confetti. La bacia pure il ministro Mauro, Franco Carraro la incoraggia. Lei ricorda il proprio impegno per i carcerati, evoca gli oltre cento casi in cui è intervenuta, riconosce l’errore di essersi detta «a disposizione» dei Ligresti badando a non citare la frase testuale, ma rivendica la correttezza dei comportamenti: «Già il 12 agosto il medico del carcere di Vercelli segnalò al direttore la gravità delle condizioni di salute di Giulia Ligresti; le mie conversazioni con i due vicecapi del dipartimento affari penali sono del 19 agosto, cinque giorni dopo». Quanto al sollecito trasferimento di Jonella Ligresti da Torino a Milano, «mai, dico mai, sono intervenuta; e comunque non esiterò a fare un passo indietro se dal confronto di oggi dovessi avvertire che è venuta meno o si è incrinata la stima istituzionale». Un interrogativo che resterà inevaso: il senatore Mario Ferrara si rallegra perché «abbiamo un ministro con le palle» («applausi del sen. Razzi» annota lo stenografo di Palazzo Madama), il socialista Enrico Buemi evoca i suicidi di Gardini, Cagliari e Moroni, Schifani si commuove «per il coraggio di madre di parlare di suo figlio; noi non gliel’avremmo mai chiesto…» (la Cancellieri gli sorride). La Finocchiaro va ad aspettarla all’uscita dall’aula per salutarla. E’ il capogruppo Pd Zanda a ricordare il cursus honorum del ministro: prefetto di Vicenza, Bergamo, Brescia, Catania, Genova, commissario a Parma e Bologna; «ciascuno di noi ha diritto a essere giudicato sull’insieme delle sue azioni, nell’ambito della sua vita». La tegola delle dimissioni in Parlamento, almeno per ora, è evitata. Cancellare l’ombra nel giudizio dell’opinione pubblica sarà più difficile.
Aldo Cazzullo
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