Un partito bifronte Difende il ministro, non esclude la crisi

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Ma in parallelo è considerato la minaccia più pericolosa per la coalizione guidata da Enrico Letta: le conseguenze che evoca in vista della decadenza da senatore di Silvio Berlusconi non escludono il tentativo di provocare una crisi. È probabile che palazzo Chigi riemerga da entrambi gli appuntamenti ancora in piedi. Ma il logoramento è vistoso: tanto che soltanto non cambiando nulla può sperare di sopravvivere. Anche un rimpasto, in un momento come questo, potrebbe risolversi in un azzardo.
È soprattutto la guerra di trincea in atto nel centrodestra a rendere le prospettive incerte. La leadership berlusconiana continua a essere perpetuata a parole e smentita nei fatti: nel senso che dell’unità invocata dal Cavaliere non c’è traccia; e che il dualismo con Angelino Alfano sta prendendo una piena sempre più difficile da correggere senza una marcia indietro plateale dell’uno o dell’altro. Il vicepremier continua a bocciare il ritorno a Forza Italia, vedendoci il cedimento a un manipolo di estremisti e uno «splendido isolamento» foriero di sconfitte elettorali e conflitti tra correnti. Fabrizio Cicchitto arriva a ipotizzare il rischio di «un partito nordcoreano» senza margini di dibattito, facendo irritare ulteriormente i cosiddetti «lealisti».
Il nervosismo di chi asseconda ed estremizza la linea antigovernativa di Berlusconi si è acuito perché Alfano ha lasciato intravedere la possibilità di «primarie» dentro il Pdl, come nel Pd. A parte le controindicazioni di un sistema del genere, coi democratici alle prese con una lievitazione sospetta dei tesserati alla vigilia del congresso, è l’idea in sé a scandalizzare. I sondaggi accreditano una maggioranza del Pdl che preferirebbe l’investitura da parte dei militanti.
Ma secondo gli avversari di Alfano e dell’ala ministeriale, il solo fatto che la proposta non venga da Berlusconi sa di iniziativa irrispettosa. Tacciare di estremismo chi si prepara a rifondare Forza Italia viene interpretato come una specie di bestemmia politica. Eppure, la divergenza rimane ed è vistosa. Quanti nel Pdl ritengono che appoggiare Enrico Letta e il suo governo significhi anteporre gli interessi dell’Italia a quelli berlusconiani, hanno in mente un centrodestra allargato: un’alleanza che includerebbe sia Scelta civica di Mario Monti, sia l’Udc di Pier Ferdinando Casini. In teoria, il percorso coincide con quello che il Cavaliere dice di perseguire.
Si tratterebbe di unificare tutte le forze contrarie alla sinistra, e assimilabili al Partito popolare europeo. Nei fatti, però, i progetti collidono, perché almeno finora Berlusconi ha lasciato capire che non può tollerare una rottura dell’unità del Pdl e la mancata adesione di Alfano e della pattuglia dei suoi seguaci a Fi. Conciliare queste due posizioni agli antipodi appare impossibile senza trovare un accordo sul destino del governo di «larghe intese». Ieri sera Alfano è andato ad Arcore a discutere per l’ennesima volta con l’ex premier. Le ultime voci parlano di una tregua in incubazione: bisogna vedere con quale esito.


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