Le buone pratiche che respingono la xenofobia

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Muovendo dalle «buone pratiche» e dagli esperimenti, promossi a livello locale, di convivenza pacifica, «faticosa ma sostanzialmente riuscita», questa «ragionevole proposta per salvare l’Italia, gli italiani e gli immigrati» delinea un modello d’integrazione capace non solo di disinnescare i conflitti sociali ma anche di consentire un reciproco arricchimento tra «vecchi» e «nuovi» cittadini. Accoglierli tutti : se riferito a un progetto lungimirante di governo dei flussi migratori, di scala almeno europea, quest’obiettivo è – dimostrano gli autori- non solo possibile, ma addirittura più utile, più «conveniente», più «vantaggioso dal punto di vista economico», più «rassicurante da quello sociale», più «efficace sul piano dell’integrazione e della convivenza», di quanto lo siano le politiche restrittive; quelle del «respingiamoli tutti», insomma.

Dimostrazione, questa, che si basa sull’aspra «materialità dei dati economici e di quelli relativi alle dinamiche delle popolazioni e dei processi sociali e culturali», necessari a (quantomeno tentare di) vincere la «vischiosità degli stereotipi» e l’«oscura resistenza opposta dalle ansie collettive». Tutt’altro, dunque, che fondato su un approccio astrattamente ideologico o su mero solidarismo paternalistico, questo libro dimostra la reale utilità e opportunità – per esigenze economiche, demografiche, sociali del Paese – di politiche basate non già su strategie difensive (di contenimento e limitazione dei flussi), ma capaci invece di promuovere l’immigrazione, come fattore di crescita e sviluppo per il nostro stesso paese. E capaci, soprattutto, di coniugare «misure di sostegno all’incremento della popolazione, accogliendo e regolarizzando, con strategie di inclusione nel sistema dei diritti di cittadinanza», così da dimostrare che «un’accoglienza dignitosa riduce significativamente insidie e minacce».

Con un costante rimando tra la concretezza della cronaca e l’orizzonte di lungo periodo su cui si muove l’analisi, questo libro affronta il tema dell’immigrazione in tutta la sua complessità, sotto il profilo sociologico, politologico, giuridico e culturale. Sullo sfondo, certo, gli sbarchi che in queste settimane – come troppo spesso, da troppo tempo offrono al Mediterraneo le speranze infrante di una vita più degna, nella nostra Europa. Ma anche, il filo spinato dei centri per richiedenti asilo, che dovrebbero ospitare, ma invece costringono chi, secondo la nostra Costituzione, ha il diritto di essere accolto perché fugge dalla guerra, dalla persecuzione politica o da regimi dittatoriali. Ed anche – raccontati nella loro realtà, troppo spesso ignorata – i centri d’identificazione ed espulsione, in cui innocenti sono reclusi fino a un anno e mezzo, solo perché stranieri non in regola con le rigide condizioni previste dalla legge per la permanenza legale in Italia o perché, magari, nell’impossibilità di rinnovare il permesso di soggiorno scaduto. E reclusi, anche per un anno e mezzo, senza neppure le garanzie che il processo penale accorda agli imputati, né il controllo che la magistratura di sorveglianza assicura, per quanto possibile, ai detenuti; ma con, invece, quello «stato di alienazione proprio di un istituto la cui incertezza giuridica determina in chi vi è trattenuto uno stato di smarrimento e frustrazione».

Particolarmente interessante è l’analisi degli effetti culturali e sociali delle politiche dell’immigrazione degli ultimi anni e di come certe forme di «razzismo istituzionale» (spesso addirittura «federale», come nel caso delle ordinanze di alcuni sindaci) abbiano concorso a determinare fenomeni di xenofobia e, in generale, una rappresentazione dello straniero in termini di nemico pubblico. Determinanti in tal senso sono state soprattutto – come rilevano gli autori – scelte di politica del diritto che, per un verso, hanno attratto gran parte della disciplina dell’immigrazione nell’area del penale, con una costellazione di reati di mera «inosservanza» e privi di offensività a terzi, di cui il reato di ingresso e soggiorno irregolari e l’aggravante di clandestinità (poi dichiarata incostituzionale) sono esempi significativi.

Di più: si è realizzato un sotto-sistema penale speciale destinato ai soli migranti, cui è stato riservato un trattamento deteriore, caratterizzato dalla sistematica deroga ai principi costituzionali in materia penale, che ha indotto la Consulta, già nel 2007, a rivolgere un monito – del tutto inascoltato – al legislatore, ad eliminarne gli squilibri e le sproporzioni. Come rilevano gli autori, dunque, la combinazione tra la severità «talvolta spinta fino alla discriminazione, delle politiche di controllo e di penalizzazione» e «la totale assenza di una politica di programmazione dell’immigrazione regolare», favorendo la marginalizzazione degli stranieri hanno finito «con l’alimentare gli umori di diffidenza e ostilità e anche quelli di intolleranza sottile e di aperto razzismo» di cui ci parlano le cronache di ogni giorno.E che possono superarsi solo combinando la paziente, quotidiana ricerca di forme di integrazione come quelle sperimentate in molte realtà locali, con una strategia politica lungimirante, che abbia il suo fulcro in quell’Europa dei diritti cui s’ispira la Carta di Nizza, che non caso si apre sancendo il primato della dignità della persona.

Una politica europea all’altezza delle sfide di oggi dovrebbe, allora, fondarsi anche, se non soprattutto, su quelle «regole uniche» in materia di immigrazione che l’Europa avrebbe dovuto – «in base alla promessa iniziale» – sancire e alle quali «non ha avuto il coraggio di arrivare», come ha più volte rilevato Giuliano Amato .


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