Cryptome, la biblioteca digitale dei top secret
La sigla da cui, in fondo, tutto è cominciato. Prima di Julian Assange e di Edward Snowden. Storia del 1996 e del “gesto ribelle” di due architetti newyorchesi, John Young e Deborah Natsios, di un gruppo di maverick informatici che intorno a loro si stringono e che battezzano una biblioteca digitale che oggi conta un database di oltre 60 mila file in cui pubblicare ciò che negli Stati Uniti «nessuno può o ha il coraggio di pubblicare» (e che per questo, nel tempo, costa a Cryptome l’oscuramento del sito, difficoltà con l’hosting del server e con la raccolta di donazioni). Per lo più, documenti integrali coperti da segreto di Stato. Dagli asset Cia in giro per il mondo, alla lista di agenti del MI6 inglese, alle foto dei caduti in Iraq. Fino, appunto, ai file del datagate. Dove l’intuizione è stata quella di andare ad ingrandire ogni singolo pixel dei grafici del programma “Boundless informant” svelati sin qui da Snowden e Greenwald sui picchi di intercettazione del traffico dati dei paesi europei, per poi tradurre l’immagine in numeri. Con questo risultato, appunto: Germania: 361 milioni di contatti telefonici; Francia, 70 milioni; Spagna, 61 milioni; Olanda, 1 milione e 800 mila; Italia, 46 milioni. Con un’ulteriore specifica tecnica. Che — sostiene Cryptome — trattandosi di “metadati”, si deve considerare che «ogni telefonata, genera in media 2 contatti». Per l’Italia (come per gli altri Paesi europei), dunque, il traffico di telefonate monitorate darebbe un risultato netto di 23 milioni di telefonate.
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