Treviso, l’ex feudo leghista che dice sì alla cittadinanza dei bimbi cinesi e moldavi

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TREVISO — C’erano una volta le panchine espiantate per non far sedere gli immigrati e c’era un sindaco diversamente democratico che proponeva di «vestirli da leprotti per fare pim pim pim col fucile». Ma solo dopo averli schedati («impronte di mani, piedi e naso») e prima di caricarli sui «vagoni piombati», che sennò loro, quei «perdigiorno extracomunitari », «portano Aids, Tbc, scabbia, epatite» e «annacquano la nostra civiltà».
Erano i tempi della “Razza Piave”. Quel fine dicitore “del sceriffo” Gentilini non si era ancora paragonato al Duce («ho finito il mio ventennio, oggi osservo dal balcone»). Nessuno avrebbe mai immaginato che la storia sarebbe cambiata. Non qui, non così. E invece è tanto girata che a Treviso, ex feudo leghista con un crescente 11% di stranieri, moltissimi dei quali integrati e impiegati, adesso ai bambini forestieri nati in città i figli dei «leprotti» – daranno la cittadinanza onoraria.
Fratelli stranieri. Fratelli della stessa comunità. Un’anticamera locale dello ius soli. «È un segnale di discontinuità col passato», dice il sindaco Giovanni Manildo, l’ariete del centrosinistra che l’anno scorso ha messo una pietra sopra l’era Gentilini e ora “il sceriffo”, dai giardinetti, lo chiama «neobolscevico».
Piazza dei Signori, le quattro del pomeriggio. Il termometro di tutto quello che accade o non accade nel capoluogo della Marca è qui. Sotto il palazzo del Podestà. Nel punto dove i pasdaran della “tolleranza doppio zero” arringavano dal palco la folla leghista sproloquiando su «spari ad altezza d’uomo», «tiro ai gommoni», «burqa da bruciare». Sempre dal repertorio gentiliniano: «La nostra civiltà è superiore a quella del deserto, gli immigrati rovinano la nostra razza».
Zina è una madre moldava e non ha rovinato niente. Ha un sorriso lieve, tiene per mano suo figlio che ha sei anni e ha iniziato la prima elementare da un mese, e forse tra trenta giorni sarà trevigiano ad honorem. Istituto Primo comprensivo, zona San Bartolomeo. «Lui è nato qui, è cresciuto qui, sta benissimo coi suoi compagni. È giusto che sia considerato un cittadino italiano». San Bartolomeo, sulla strada Ovest, San Paolo, Monigo. La cintura urbana che non è più centro e non è ancora lontana periferia. Tanti figli di bosniaci, romeni, moldavi, kosovari, e cinesi, marocchini, tunisini. I nuovi trevigiani studiano qui. Sono 1.800 e hanno da 0 a 19 anni. Un quinto degli 11mila cittadini stranieri di Treviso (la città ne fa 82mila, con la provincia si arriva a 890mila). «Sono contenta se fanno questa cosa, almeno i bambini devono sentirsi uguali agli altri ». Zina parla come se la cittadinanza onoraria voluta dall’amministrazione – si partirà a novembre con le prime assegnazioni, di concerto con le scuole – avesse anche una validità giuridica: non è così. Per la legge restano bimbi stranieri. Per ora. Ma è bello, e fa niente se è retorico, che il significato sia questo, e che una mamma lo percepisca in questo modo.
«Il riconoscimento è un modo per dire ai bimbi che loro fanno parte della nostra comunità e che la comunità li accoglie», spiega Anna Cabino, assessore alle politiche per l’immigrazione e la scuola. È un inizio (come già voluto e sperimentato in altre città). «Vogliamo lanciare un messaggio al governo a favore dello ius soli, il riconoscimento della cittadinanza piena ai bimbi nati in Italia. Inviteremo il ministro Kyenge, vorremmo fosse lei a consegnare questi riconoscimenti ai bambini delle prime elementari».
Eccola la rivoluzione dolce di Treviso. «L’idea della giunta è un grande segnale di civiltà — spiega Abdallah Zezragi, rappresentante della comunità marocchina — Questa città ha sempre saputo integrare anche se certi ammini-stratori vomitavano odio contro gli immigrati cavalcando la paura della gente». Modou Diop, 48 anni, senegalese, è un operaio della “Geox”. Da due giorni è ufficialmente cittadino italiano. Che a giurare sulla Costituzione di fronte al sindaco Manildo sia stato lui, leader del coordinamento delle associazioni delle varie etnie presenti nella Marca, è un segno ulteriore. «Vogliamo una città aperta, sempre più multietnica e multiculturale — aggiunge il primocittadino —. L’epoca della xenofobia becera è finita, Treviso è di tutti e per tutti, saremo la città dell’accoglienza ».
La Provincia è a guida leghista, come la Regione Veneto. Ma le visuali, rispetto a un tempo, sono cambiate. «Lo ius soli? Se è come in Germania, partendo dai bambini di 8 anni, si può fare», apre il governatore Luca Zaia. Del resto la nuova composizione di Treviso è sotto gli occhi di tutti. Un dossier di Anolf CISL calcola che se solo 15 residenti stranieri su 100 in provincia fossero nati in Italia e minorenni, con lo ius soli sul territorio si conterebbero almeno 15mila italiani in più. Per ora si parte, simbolicamente, dai bambini. Il che scatena le prevedibili esternazioni del destituito Gentilini. «Mi sembra una frenesia demenziale. La cittadinanza onoraria la si dà a chi merita, non ai bambini stranieri. Io l’ho data a Pierre Cardin. E comunque le panchine che ho tolto dalla stazione, per fortuna, non le hanno più rimesse».


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