Riforme o clemenza, una falsa alternativa
Pare che il giovane qualche giorno dopo quel tentativo fosse stato trasferito in una cella di punizione. Il giudice quella cella è andata a vederla e l’ha descritta: buia, con un odore forte e nauseante, con escrementi per terra. Era una cosiddetta cella liscia, senza acqua, senza luce, senza riscaldamento, senza letto. La cella di punizione sembra fosse riservata ai detenuti difficili. Un detenuto che tenta di ammazzarsi è per definizione “difficile”, in quanto non capace di farsi la galera. In quella cella di rigore, prima di ammazzarsi, ci sarebbe stato per quasi tre giorni. Le tragedie non finiscono qui. Pochi mesi dopo si suicida anche uno degli agenti coinvolti nell’inchiesta. Si ammazza dopo avere assassinato la moglie. Era stato da poco congedato a causa di problemi psicologici.
Che c’entra questa storia con la discussione pubblica intorno all’amnistia, all’indulto e alle riforme possibili? C’entra per tanti versi. Perché la questione carceraria è una questione tragica. Perché Cherib Debibyaui era straniero, come il 35% dei detenuti rinchiusi nelle carceri italiane. Perché era giovane come Daoudi Abdelaziz, morto suicida ad agosto nella casa circondariale di Padova a 21 anni o Mokhar Ahmed Mohamed ammazzatosi a Caltanisetta a 24 anni oppure Octavio Lazala de Los, anche lui ventiquattrenne, suicidatosi a giugno a Poggioreale, il carcere dove il capo dello Stato ha annunciato il messaggio alle Camere.
C’entra infine perché la Corte Europea dei diritti umani ci ha detto di diminuire il numero complessivo di detenuti ma ci ha anche imposto di trattarli in modo rispettoso della loro dignità. Se chi ha in mano il pallino della decisione politica si prodigasse nell’andare a conoscere le biografie dei vivi e dei morti in carcere forse deciderebbe meglio e con più cognizione di causa. Si accorgerebbe che il sovraffollamento è sicuramente provocato in via diretta dalle norme populiste e classiste sulla recidiva e dagli eccessi punitivi della legge sulle droghe e in via indiretta dalle scelte proibizioniste e illiberali sull’immigrazione. Leggi che vanno abrogate, non tanto perché producono sovraffollamento (non sarebbe motivo sufficiente), ma in quanto penalmente ingiuste, eticamente mal orientate, non ispirate al principio costituzionale di offensività.
In questi giorni stiamo assistendo a un brutto gioco sulla pelle di chi è in galera. Chi a sinistra non vuole l’amnistia e l’indulto usa l’argomento che basterebbe cambiare le leggi che hanno criminalizzato consumatori di droghe e migranti. Chi a destra spinge per l’amnistia e l’indulto non si sogna nemmeno di mettere mano a quelle leggi. Eppure i giudici europei ci avevano dato una chance per avviarsi verso una via di uscita corretta dalla tragedia carceraria. Una via di uscita che richiede l’approvazione di tutti i provvedimenti citati e di altri ancora. Richiede che si abbandoni la via dell’emergenzialismo penale, che si universalizzino le misure alternative, che si depenalizzi lo status di consumatore di droghe e di immigrato irregolare, che si tutelino i diritti dei detenuti e si preservi la loro vita e la loro dignità umana, che non si metta in carcere una persona se non c’è posto.
La via di uscita europea richiede anche però che si approvi un provvedimento di clemenza, senza il quale si rischierebbe la tragedia umanitaria. Chi ha a cuore la questione penitenziaria deve sottrarsi al gioco riforme o clemenza. Anche di questo discuteremo oggi e domani presso il Dipartimento di giurisprudenza di Roma Tre (info su www.associazioneantigone.it) con il presidente della Corte Costituzionale e il ministro della Giustizia. Una discussione per fare chiarezza e per non trasformare i detenuti e gli immigrati in prigionieri di Berlusconi.
*Presidente Antigone
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