India, la strage dei pellegrini indù 115 morti nella ressa per il Dio Shiva
BANGKOK — È l’ennesima tragedia in un luogo di devozione e pellegrinaggio dell’India, oltre 115 vittime tra le quali una maggioranza di donne e bambini in cammino verso un tempio sulla montagna. Molti sono rimasti schiacciati dalla calca, altri sono annegati dopo essersi lanciati nel fiume Sindh per salvarsi dalla folla impazzita.
Più di 20mila persone si trovavano in quel momento sopra il ponte di 500 metri che collega le due rive dell’impetuoso corso d’acqua alle pendici del monte Vindhyachal nel Madya Pradesh, in direzione del tempio di Mandula Devi a Ratangarh dedicato al Dio Shiva. Erano una parte del mezzo milione di pellegrini giunti ieri a rendere omaggio come ogni anno durante le celebrazioni della dèa Durga alla celebre statua della divinità chiamata Wali Mata, considerata dispensatrice di miracoli.
All’improvviso si sarebbe sparsa la voce che il ponte stava per crollare, mentre altre fonti attribuiscono la ressa a una carica della polizia per disperdere i pellegrini che spingevano per arrivare prima sull’altra sponda. Dopo la smentita delle forze dell’ordine, l’unica cosa certa è che le vittime e i feriti trovati asfissiati e con i corpi fratturati sul ponte sono stati calpestati da migliaia di piedi che si muovevano e ammassavano una sopra l’altra in cerca di salvezza da un pericolo inesistente, mentre a decine venivano trascinati via dalla corrente per aver cercato salvezza lanciandosi nell’acqua.
A rendere ancora più macabra la notizia della ressa di ieri mattina, è il ricordo di un’analoga strage avvenuta nel 2006 durante il nono giorno della stessa festività religiosa di Navaratri, quando 35 pellegrini annegarono nello stesso tratto del fiume reso impetuoso dal rilascio delle acque di una diga sovrastante. Nonostante le difficoltà e i pericoli, milioni di devoti da tutto il Madya Pradesh continuano a giungere da secoli a Ratanghar, e la storia riferisce di numerosi incidenti con le barche rovesciate mentre tentavano di attraversare stracariche il Sindh per raggiungere la collina di Wali Mata. Per questo fu costruito il ponte dove hanno trovato ieri la morte le ultime vittime dell’imprevidenza con cui viene organizzata la sicurezza lungo i tragitti sacri frequentati da moltitudini di indiani.
Il tempio sopra il ponte maledetto di Ratangarh non è infatti il solo ad assistere a catastrofi del genere. Nel 2008 oltre 240 persone morirono a Jodhpur nel Rajasthan in una calca durante le stesse celebrazioni di Naravatri dedicate alle forme della dèa Madre Durga, e altre cento seguirono la stessa sorte nel 2011 durante un pellegrinaggio a Sabarimala in Kerala. Infine nel febbraio scorso una ressa alla stazione di Allahabad uccise 36 pellegrini che tentavano di salire sul treno durante i giorni del festival indù più affollato del mondo, il Kumbh Mela. In ognuno dei casi del passato, il bilancio delle stragi è stato aggravato dall’improvvisazione con cui viene gestito l’afflusso di folle sterminate nei luoghi di culto. Mentre i corpi delle vittime di Ratangarh giacevano scomposti sul ponte, le squadre di soccorso dalla città di Gwalior restavano intrappolate nel traffico delle strade dissestate che portano al tempio, dove solo nove poliziotti e un vice ispettore tenevano a bada folle inferocite che lanciavano pietre contro gli agenti ritenuti a torto o ragione responsabili dell’incidente.
Il Capo ministro dello Stato ha ordinato un’inchiesta giudiziaria e annunciato una compensazione per le famiglie delle vittime, alle quali hanno fatto le condoglianze il primo ministro e la leader del Congresso Sonia Gandhi.
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