Alitalia, appello del governo a Air France ma Parigi non vuole mettere altri soldi

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MILANO — Il salvataggio di Alitalia entra nelle turbolenze ancora prima di decollare. «Mi auguro che Air France faccia la sua parte nell’aumento di capitale», ha auspicato il ministro per le infrastrutture Maurizio Lupi. Sarà molto difficile. Parigi, confermano fonti attendibili, ha deciso: non verserà — salvo improbabili sorprese — la sua quota (75 milioni) della ricapitalizzazione e si diluirà dal 25% all’11%, rimanendo alla finestra in attesa di capire come finirà la partita sull’ex compagnia di bandiera. L’operazione, rassicurano da Palazzo Chigi, andrà in porto lo stesso, con o senza il partner d’Oltralpe. La defezione transalpina rende però ancor più accidentato un percorso già a ostacoli. E non a caso sia il governo che i soci italiani hanno iniziato il forcing per provare a convincere Air France a cambiare idea entro il 14 novembre, la data in cui sarà davvero necessario aprire il portafoglio.
La strada, è chiaro a tutti, è in salita. Il gruppo guidato da Alexander de Juniac ha dato l’ok alla ricapitalizzazione in cda e lo stesso dovrebbe fare all’assemblea di domani. Si tratta però di un atto di “cortesia istituzionale”, come precisano fonti vicine alla società, visto che senza il loro sì
l’intera operazione, lo statuto impone una maggioranza dell’80%, potrebbe deragliare. La realtà è che Parigi non vuole bruciare altri soldi in Alitalia (ha già perso 322 milioni) e sul tavolo, dicono i francesi, non c’è nemmeno l’ombra di un piano che lasci intravedere la
svolta per un’azienda che perde 1,6 milioni al giorno.
«Cambiali in bianco non ne firmiamo più», ripetono lungo la Senna. La soluzione Poste, dicono, è poco più di un ripiego che consente di prendere tempo. Poco tempo, visto che i prossimi sei mesi sono tradizionalmente i più duri per il trasporto aereo e la liquidità raccolta rischia di andare in fumo prima del previsto. Maretta, tra l’altro, sembra esserci anche tra i soci storici di Alitalia: «Il nostro obiettivo è tutelare l’investimento, ma nel medio termine passeremo la mano — ha detto ieri Gian Maria Gros Pietro, presidente del Consiglio di gestione di Intesa SanPaolo — Ora alla compagnia servono manager professionali e un partner estero».
Massimo Sarmi è al lavoro per preparare il nuovo piano. Ma i paletti francesi sono chiari: una ristrutturazione del debito (pillola amarissima per le banche che già dovranno rimettere mano al portafoglio per l’aumento), un taglio al costo del lavoro (boccone difficile da digerire per i sindacati) e una razionalizzazione delle rotte che rischia di urtare l’hubris tricolore. Nodi che comunque sarà difficile sciogliere nell’arco di un mese, anche perché Alitalia è al quarto piano industriale in quattro anni e gli uomini di Sarmi, lo hanno candidamente ammesso proprio loro, si sono messi al lavoro solo da metà della scorsa settimana.
Il successo della ricapitalizzazione non dovrebbe essere comunque in dubbio. A fare le veci dei francesi sarà — obtorto collo — il consorzio di garanzia bancario. Il vero problema a quel punto sarà se e come cercarsi un altro socio estero. La nostra ex-compagnia di bandiera, ha ribadito Enrico Letta, ha ragione di esistere solo in un’alleanza globale. La presenza di Air France nel capitale, anche se solo con l’11%, sbarra però la strada a eventuali pretendenti. E se i soci vendessero le loro azioni a Etihad o a altri quando il 28 ottobre scadrà il lock-up sulle azioni, Parigi — statuto alla mano — potrebbe scatenare una guerra legale che rischierebbe di mettere definitivamente in ginocchio la società. I francesi, insomma, hanno ancora il pallino in mano. Saranno gli unici, salvo miracoli, a non mettere soldi in Alitalia, ma resteranno decisivi per salvarla. Nel 2008 avevano offerto 3 miliardi per rilevare tutto il carrozzone pubblico in crisi. Tra pochi mesi potrebbero portare a casa l’intero mercato aereo tricolore per poche decine di milioni.


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