Caos a Tripoli, sequestro-lampo del premier
TRIPOLI — L’aereo che nella notte atterra a Tripoli è un volo di rassegnati. «Non c’è niente da fare, questo volo sarà sempre in ritardo», diceva al bar di Fiumicino un commerciante di Misurata. «Ma tutta la Libia è ancora più in ritardo, sulla democrazia, sulla sicurezza, adesso anche nell’economia. E questa storia del primo ministro sequestrato è solo l’esempio peggiore: litighiamo, combattiamo, perdiamo tempo, non riusciamo a risollevarci. E chiaramente molti rimpiangono Gheddafi…». Stracarico in ogni fila e posto di libici che vanno e vengono dall’Italia a volte soltanto per respirare un po’, l’Airbus di Afriqiah, gestito da Tunisair atterra in una Tripoli triste e sconsolata. Rassegnata al caos lento di questa rivoluzione confusa e infinita. Che se non altro per ora evita di essere violenta.
Ieri mattina il premier Ali Zeidan è passato qui, nella hall dell’Hotel Corinthia. Esule per 30 anni, perseguitato da Gheddafi, Zeidan è tornato in Libia senza avere una casa, una base, la protezione di un quartiere, di una famiglia, di una sua milizia come tutti i capi politici hanno oggi nel paese Quando alle 6 del mattino si sono presentati 100 miliziani di un gruppo rivale, i soldati del primo
ministro semplicemente hanno abbassato i Kalashnikov. Zeidan era solo. Sequestrato, “arrestato” da una milizia che voleva imporre il cambio di governo, il premier è rimasto per 6 ore in ostaggio. Poi un altro paio di gruppi, rivali della prima banda e più vicini ad alcuni dei suoi ministri, sono riusciti a liberarlo. Senza sparare un solo colpo. Per ora.
Zeidan riemerge da questo ennesimo giro di caos politico della Libia con una lucida prudenza: «Quanto accaduto oggi è un gioco
politico interno. Adesso proviamo a risolvere i nostri contrasti con equilibrio: le rivalità politiche interne non compromettono la sicurezza del paese», dice il premier una volta tornato libero. Lui sa bene a chi rispondono i miliziani della “Sala operativa dei rivoluzionari libici” come si chiama il gruppetto. Ma evita di dirlo apertamente, per evitare che l’incendio si propaghi. Da giorni il sequestro del politico, la “rapitina” come la chiama un amico siciliano, è cosa comune a Tripoli. Solo gli italiani
raccontano il sequestro del ministro della Difesa libica bloccato per non fargli incontrare il capo di Stato maggiore della Difesa italiano, e il sequestro di alcuni funzionari degli Interni che dovevano ricevere una delegazione ministeriale italiana.
Una volta liberato, Zeidan ha presieduto un consiglio dei ministri, ha tenuto una conferenza stampa e ha parlato in diretta tv. Mantenendo freddezza e controllo della situazione ha ringraziato «polizia, esercito e i veri rivoluzionari » che hanno contribuito alla sua liberazione e soprattutto ha chiesto a tutti i libici di evitare una escalation di violenza. «I libici hanno bisogno di saggezza, non di nuove escalation». Non chiarisce nulla del rapimento, dei veri motivi politici, non spiega chi sono i mandanti dell’operazione. La prima versione è che i miliziani abbiano agito per protestare per l’arresto effettuato sabato a Tripoli del terrorista Abu Liby. L’uomo era stato catturato da un blitz americano, e tutte le milizie libiche filo-islamiche hanno immediatamente criticato Alì Zeidan e il governo, accusandoli di essere complici degli Usa. Quindi un sequestro anti-americano e filo-integralista.
Ma alcuni a Tripoli hanno una versione diversa, o al limite parallela e sovrapponibile a questa che fa perno sull’arresto del terrorista Al Liby. È uno scenario che ruota intorno alla lotta di potere fra milizie e gruppi politici a loro collegati. Da mesi Alì Zeidan, un ex diplomatico che si è insediato da meno di un anno, è nel mirino dei nuovi capi che poco alla volta stanno crescendo in Libia. Il più forte di sicuro il nuovo presidente del Parlamento Nor Abu Sahmin. Il capo del Parlamento da settimane apertamente criticava Zeidan per la sua incertezza nell’affrontare i problemi: da due anni lo Stato libico esiste solo sulla carta, il monopolio della forza, del controllo delle armi, la gestione dei soldati e dei miliziani sono tutti in mano alle varie milizie e ai vari consigli locali o tribali. Non era un mistero che Abu Sahmin spingesse per una sostituzione di Zeidan, e il pretesto dell’arresto a Tripoli del terrorista Abu Liby poteva essere — appunto — solo un pretesto per passare all’azione. Ieri però, una volta rilasciato Zeidan, il presidente del Parlamento ha salutato con sollievo la sua liberazione, e anzi gli era seduto affianco quando il premier si è rivolto al popolo libico parlando ai giornalisti.
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