L’anti Europa
PARIGI. In maggio, il parlamento europeo appena eletto potrebbe essere composto in buona parte da deputati anti-europeisti. Non da euro-scettici, politicamente anemici, indifferenti, poco convinti del loro fresco mandato, come ce ne sono già tanti: ma da aperti, dichiarati avversari della moneta unica o addirittura decisi, qualora se ne presentasse l’occasione, a provocare attraverso dei referendum l’abbandono dell’Unione da parte dei loro rispettivi paesi. Questo scenario, un po’ paradossale, ma non poi tanto, è suggerito dalle indagini d’opinione che rilevano in vari paesi dell’eurozona la robusta e sorprendente crescita dei consensi raccolti dai partiti eurofobi.
Il caso più vistoso è quello del francese Front National, versione populista rinnovata da Marine Le Pen, figlia ed erede politica del vecchio Jean-Marie, al quale vengono attribuite più intenzioni di voto che ai grandi partiti democratici alle prossime elezioni europee di primavera. Già nel 2002, in seguito all’assenteismo della gente di sinistra, Le Pen padre superò ed eliminò al primo turno delle presidenziali il socialista Lionel Jospin. Ma al ballottaggio il tardo gollista Jacques Chirac, campione del centro destra, raccolse poi i suffraggi della Francia democratica e rimandò al suo posto il leader del Front National.
Undici anni dopo la situazione è cambiata perché il Front National di Marine Le Pen raccoglierebbe, sia pure nel meno impegnativo scrutinio europeo, più voti dell’Ump (Unione per un movimento popolare) e del Partito socialista, i due grandi partiti, di centrodestra e di sinistra. L’Fn figura oggi virtualmente come il primo partito di Francia. Un primato effimero, ma inquietante.
Il risultato del sondaggio fa sognare l’energica Marine, che si vede nel Palazzo dell’Eliseo al posto di François Hollande, quando il meno popolare (almeno per ora) dei presidenti della Quinta Repubblica terminerà il quinquennio. La sua fantasia galoppa. La democrazia d’opinione le dà alla testa. In altri può sollecitare un incubo: l’autoaffondamento dell’Europa. Per ora un fantasma.
La democrazia d’opinione sommerge puntualmente, sempre più di frequente, la democrazia rappresentativa. La quale risulta spesso appannata dalla lenta marcia cui è costretta. Nella civiltà dominata dalle immagini e dalla velocità i riti parlamentari dai quali dipende il funzionamento della vita democratica appaiono frustranti per la loro lunghezza. Con la moltiplicazione dei blog il populismo trionfa. Si impone in una società d’opinione segnata dalla volontà di affermarsi, con i suoi umori del momento, su quella politica, basata sulle convinzioni. Capita che l’opinione sia in disaccordo col voto. E’ frequente che il movimento d’opinione abbia la meglio, ossia influenzi o addirittura determini l’espressione del suffragio universale. La convinzione di essere sulla cresta dell’onda, che rende euforica Marine Le Pen, non è dunque poi tanto campata per aria. Il vento dell’opinione soffia in suo favore. E per
ora annuncia la minaccia che pesa sulla democrazia europea.
Lei ha inforcato il populismo come un destriero. L’Europa equivale al bersaglio in un antico torneo. Sono in molti a spezzarvi sopra le lance. L’ideologia tradizionale dell’estrema destra, neofascista o neonazista, appartiene ormai al passato o sopravvive a stento. I movimenti con la vecchia impronta sono ridotti a gruppuscoli. Il modello più industriale (come l’ha chiamato Pietro Ignazi) ha conosciuto invece un’espansione significativa. Favorita dal tempo e anzitutto dalla crisi economica e finanziaria.
Il fenomeno populista, nelle sua forma attuale, ha grande successo. L’Europa è presa di mira. E’ associata all’apertura delle frontiere e dunque all’immigrazione e all’Islam. La ristrutturazione industriale, la paura di molti di fronte alla crescita dei paesi emergenti e l’invecchiamento della popolazione contribuiscono ad alimentare la paura. La xenofobia diventa una trincea. L’Europa sta dominando, sia pure a fatica, la crisi finanziaria, e l’euro è per ora sopravvissuto, ma il populismo ha puntato tutto sulla denuncia dell’austerità prolungata che risana i conti ma dissangua la società. E’
stato più facile descrivere l’euro come un cappio, come una galera monetaria, che ricordare il suo ruolo di diga alla selvaggia concorrenza delle monete abbandonate a un’inflazione, equivalente al suicidio di redditi e risparmi.
Il timore del declino europeo di fronte alla paventata minaccia della mondializzazione ha fatto dimenticare che l’Europa resta l’area economica più importante del mondo. Resta però anche una società senza lavoro
per i giovani e con la vita lavorativa dimezzata per gli anziani.
Dominique Reynié, esperto dell’opinione pubblica, annuncia per le elezioni di maggio uno sconvolgimento dell’Unione
europea, minata dal populismo. Il quale si è irrobustito sottolineando la disoccupazione e il calo del potere d’acquisto, sul piano economico, materiale; e l’identità nazionale in crisi e le tradizioni travolte dal mondialismo, o dalle frontiere europee impermeabili alle immigrazioni selvagge e all’islamismo, sul piano intellettuale. In Inghilterra l’Ukip, il partito per l’indipendenza del Regno Unito, ha proposto ai conservatori, avversari ma altrettanto eurofobi, di votare per i loro candidati alle elezioni di maggio, con il proposito di arrivare poi a un referendum sull’uscita del paese dall’Unione europea. Difficile prevedere a quale risultato possa condurre questa decisione, resta che il fronte antieuropeo e populista si allarga.
I grandi partiti sono tentati da alleanze con quelli estremisti. Un tempo erano proibite nel nome di principi democratici adesso rinnegati, o resi obsoleti dalle revisioni ideologiche. L’Ump, il grande partito di centrodestra francese, è impigliato in polemiche sull’opportunità di raggiungere accordi elettorali con il Front National. Sul piano locale è spesso una pratica corrente non sempre confessabile. Sul piano nazionale l’antisemitismo o i ricorrenti riferimenti al collaborazionismo durante l’occupazione nazista, durante la Seconda guerra mondiale, nel frattempo spariti dal linguaggio ufficiale di Marine Le Pen, non appaiono più impedimenti insuperabili. Comunque se ne discute. In Germania, durante l’ultimo scrutinio, Angela Merkel, è riuscita a
il partito Alternativa per la Germania, che non ce l’ha fatta ad ottenere il 5 per cento dei suffragi per entrare nel Bundestag. Quel partito, animato da economisti noti, non è riuscito a imporsi perché il suo discorso anti-europeo non era abbastanza populista. Era troppo garbato. Gli antidoti al populismo hanno talvolta, a prima vista, un sapore populista. Il caso dell’attuale
premier flic de France,
del primo poliziotto di Francia, il ministro degli interni Manuel Carlos Valls, 51 anni, socialista di lunga data e uomo politico più popolare di Francia, è un caso singolare. Egli è gradito in egual misura dagli elettori di sinistra e di destra. E’ una vistosa eccezione, poiché l’azione di François Hollande, il presidente socialista, suscita l’approvazione di soltanto due francesi su dieci. Nessun altro capo dello Stato, nella Quinta Repubblica, ha raccolto meno consensi di lui. Sul piano della popolarità Manuel Valls non ha invece concorrenti: più di settanta cittadini su cento lo trovano efficace e in definitiva un ottimo ministro degli interni. Certe sue operazioni sono state approvate dal 92 per cento dei francesi. Manuel Valls, nato da un pittore catalano e da una madre svizzera italiana, diventato francese a diciotto anni, è un socialista con una grande passione: la sicurezza. E’ diventato un grande specialista della questione, senz’altro una delle principali agitate dai populisti, in particolare per quel che riguarda l’immigrazione. Nel partito questa inclinazione non gli ha portato molta fortuna. Alle primarie per la candidatura alle elezioni presidenziali ha raccolto soltanto il 6 per cento. Allora è apparso troppo di destra. Più un liberalsocialista che un socialdemocratico. La popolarità l’ha raggiunta quando Hollande l’ha nominato ministro degli interni e lui si è dimostrato molto più intransigente ed efficiente di un suo noto predecessore, Nicolas Sarkozy, che si è servi di quel dicastero come trampolino di lancio per diventare presidente della Repubblica.
Le sue dichiarazioni sui rom hanno suscitato vive reazioni tra i socialisti. Ha espresso dubbi sulla loro recuperabilità sociale, rendendo implicito il ritorno di molti nella patria d’origine (Bulgaria e Romania). C’è chi l’ha accusato di venir meno al «patto repubblicano », vale a dire ai principi di sinistra. E non sono mancate le polemiche col ministro della giustizia, Christiane Taubira, per le riforme carcerarie giudicate troppo lassiste. Valls si considera un combattente di prima linea contro il Front National. A volte ne adotta quelli che, a molti socialisti, sembrano gli stessi sistemi. Il populismo non è facile da combattere. Nella crisi entra in tutte le pieghe della società. E del cervello.
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Non esagera chi afferma che l’Unione europea corre il serio pericolo di morire, dilaniata dalle sue contraddizioni irrisolte. E se è vero che l’Ue, per dirla con Luigi Ferrajoli, «è stata la più grande conquista del Novecento, in un continente diviso da una trentina di lingue e da un passato di guerre mondiali», occorre evitare che ciò accada.