Il Pdl e la sfida sugli incarichi Si affacciano i mediatori
ROMA — Lo scontro nel Pdl continua. E ora ha per oggetto la richiesta di un congresso che dovrebbe dettare linea politica e nuovo gruppo dirigente. Va fatto quanto prima, dicono gli amici di Raffaele Fitto che per primo ha lanciato l’idea. Tutti, anche coloro che la ritengono sbagliata, esortano però a tenere nel massimo conto l’unità del partito. E in questa fase, nel corso della quale l’ala governativa guidata da Angelino Alfano tira diritto sulla sua strada (sfidato dall’ex ministro Fitto che contesta la deriva centrista e il rischio che il Pdl-Forza Italia subalterno alla sinistra), escono allo scoperto i mediatori. Maurizio Gasparri è uno di questi. Il vicepresidente del Senato invita a evitare di commettere cinque errori che sarebbero disastrosi: spaccare il partito, dividere i gruppi parlamentari, cedere alla tentazione neocentrista, rinunciare al bipolarismo, farsi dettare la politica fiscale da Fassina e quella dell’immigrazione dalla Boldrini. Chiarito questo, Gasparri dice che «un grande partito di centrodestra, bipolarista e alternativo alla sinistra e leale con il suo fondatore ha il dovere di trovare una sintesi sulle politiche e sui dirigenti». Mariastella Gelmini condivide il pentalogo di Gasparri ma, a sua volta, mette in guardia: «Attenzione perché il tentativo di archiviare Berlusconi vuole dire anche tentare di archiviare la sua conquista politica — il bipolarismo — e la prospettiva liberale che le larghe intese non possono annacquare».
Insomma, ciò che si contesta è la linea politica impressa da Alfano e che ha come obiettivo quello di condurre fino in fondo il patto di governo su cui si fondano le larghe intese. Obiezione alla quale replica Roberto Formigoni: «Ha vinto Alfano e la sua leadership. Si va avanti così fino al 2015». L’ex governatore lombardo aggiunge inoltre che «l’iniziativa di Fitto — azzeramento delle cariche e congresso — è inopportuna, profondamente sbagliata: le regole non si improvvisano. Adesso sosteniamo il governo facendo le nostre battaglie». Ecco perché qualcuno spinge Alfano a elaborare un documento politico che in nome di Berlusconi impegni il partito a essere leale con il governo, a spingere per la riforma della giustizia e ad abbassare le tasse.
L’idea del congresso non piace ad Alfano, ma soprattutto fa storcere il naso a Silvio Berlusconi. Stando alle voci che circolano, il Cavaliere non avrebbe affatto gradito la sortita di Fitto, al quale imputa ancora l’errore di avere imposto un uomo a lui vicino (Rocco Palese) anziché puntare su Adriana Poli Bortone, data per vincente, nella sfida in cui poi ha prevalso Nichi Vendola alle Regionali del 2010. Del resto, la contrarietà di Berlusconi, stando ad ascoltare chi lo ha sentito in queste ore, discende dalla sua naturale ritrosia a celebrare i riti della politica tradizionale. Fare un congresso, con tutte le incombenze burocratico-organizzative legate alla fissazione delle regole, segnerebbe il ritorno alla democrazia dei partiti e il venire meno della democrazia degli eletti. Una tesi largamente condivisa dal fronte alfaniano. L’ala governativa, infatti, ritiene che dietro l’uscita di Fitto ci sia in realtà Denis Verdini, desideroso di tornare a contare dopo essere uscito sconfitto nella battaglia sulla fiducia al governo. Non solo. C’è anche chi pensa che gli altri esponenti che si sono proclamati lealisti stiano cercando uno spazio per tentare di riequilibrare il potere all’interno del partito ora nelle mani degli amici del segretario.
La situazione è di stallo. Tutti attendono di sapere come si muoverà Berlusconi che potrebbe tornare a Roma nelle prossime ore. «Siamo appesi a un filo», ammette un esponente dell’inner circle alfaniano. C’è il rischio che, per un combinato disposto del tutto imprevedibile al momento, si arrivi alla conta e si spacchi per davvero il partito. Un esito che il Cavaliere non vorrebbe capitasse.
Lorenzo Fuccaro
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