Il figlio su misura

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L’importante è cliccare sulla casella giusta. «Preferisci un bambino con basso rischio di cancro al colon» o «basso rischio di difetti congeniti al cuore»? La scelta del colore degli occhi ha tre opzioni: blu, verde o nero. Sul sesso del bebè i genitori arriveranno già preparati, ma le mirabilie della genetica potrebbero metterli in difficoltà alla domanda seguente: «Preferisci un figlio con una durata della vita lunga», «con l’ammontare minimo di spese mediche nel corso della vita» o «con il numero minimo di giorni passati in ospedale durante la vita»?
Del neonato à la carte, grazie alla recente scoperta che il tipo di fibre muscolari è determinato dai geni, è possibile anche decidere in quale sport eccellerà. Un clic alla casella «performance muscolare» sulla scritta «100% sprinter» (con tanto di icona di un corridore) o su quella «atleta di endurance » (l’immagine è un ciclista) ci permetterà di sognarlo campione nella disciplina del cuore. A questo punto non restano che pochi dettagli, come la tolleranza al lattosio, la predisposizione a una forma di cecità (il sistema non vieta nemmeno di cliccare “sì”) o la capacità di percepire il sapore amaro.
Benvenuti nel mito dell’eugenetica che diventa realtà (o almeno così reclamizza) nel brevetto US 8543339B2, concesso negli Stati Uniti alla ditta di test genetici “23andMe” di Mountain View, California. La sede del colosso mondiale dei test del Dna è a meno di un chilometro da quella di Google e l’algoritmo informatico che sfrutta il calcolo delle probabilità per arrivare alla formula del bambino perfetto parla anche la lingua dei motori di ricerca. Una delle fondatrici di 23andMe — nonché la persona che del brevetto ha fatto richiesta — è poi Anne Wojcicki: 40 anni ed ex moglie di Sergey Brin, cofondatore del più importante motore di ricerca del mondo.
Il brevetto contiene in prima battuta una serie di domande cui sottoporre i futuri genitori. Poi un algoritmo che, attraverso una batteria di calcoli probabilistici, seleziona quale combinazione, fra gli ovuli e gli spermatozoi a disposizione di una banca dei gameti, si avvicina di più ai sogni di mamma e papà.

Di questi genomi la sola 23andMe ne ha 400mila in magazzino. E una vasta banca di ovuli e spermatozoi è quello che in genere offrono le cliniche per la procreazione assistita nei paesi in cui è consentita la fecondazione eterologa: dove uno dei genitori è estraneo alla coppia o dove un single cerca di avere figli con un ovulo o degli spermatozoi donati. È proprio a queste cliniche che 23andMe (dove 23 sta per il numero di cromosomi che ciascun genitore dona al figlio) permetterà di usare il suo algoritmo brevettato di fresco, prevedibilmente a suon di bigliettoni verdi.
Per il momento l’azienda californiana ha scelto un approccio pubblicitario soft. Martedì scorso sul suo sito è comparso l’annuncio di un nuovo «calcolatore per l’ereditarietà dei tratti familiari» che offre «a te e al tuo partner la possibilità di sapere quali tratti vostro figlio potrebbe ereditare». Ma il titolo sul brevetto approvato lo scorso 24 settembre non lascia dubbi sulle finalità reali: «Selezione del donatore di gameti basata su calcoli genetici». Tra il “sapere” e il “selezionare” il salto è evidentemente enorme. E all’interno del testo del brevetto compare l’elenco delle domande a scelta multipla che rende l’operazione particolarmente aberrante.
Che la scienza non sia del tutto capace di mantenere le promesse che 23andMe offre è poi chiaro agli stessi possessori del brevetto. I quali stanno ben attenti a parlare solo di «possibilità » che il bambino nasca con i tratti prescelti. E che quindi potranno declinare ogni responsabilità qualora il risultato, dopo nove mesi di gravidanza, non sia quello «cliccato». Il metodo — mette le mani avanti l’azienda californiana — offre «un’informazione statistica sulle probabilità che le caratteristiche di interesse compaiano nel bambino in base al genotipo dei donatori dei gameti».
Secondo il colosso di Anne Wojcicki, analizzando il Dna di ogni donatore, è possibile determinare quante chance ci sono che ognuno dei caratteri scelti compaia nel figlio. Mettendo insieme tutti i “punteggi” è possibile stilare una classifica. A quel punto la fecondazione assistita potrà procedere con lo sperma o l’ovulo (a seconda del sesso dell’aspirante genitore) che più si avvicina ai propri desideri, fra quelli disponibili nella banca. Qualora le caratteristiche richieste del bimbo à la carte dovessero collidere fra loro, sarà il genitore a stabilire la priorità. Nulla vieta ad esempio di scegliere a tutti i costi un bimbo con gli occhi blu, anche se questo comporta un aumento del rischio di una malattia.
Che l’ufficio brevetti americano abbia messo il suo timbro su un metodo così controverso è subito diventato oggetto di scontro. Un editoriale pubblicato su
Genetics in Medicine (rivista inglese sorella di Nature) chiede oggi che la concessione dei brevetti negli Usa sia subordinata a un rispetto più rigoroso dei principi morali (in Europa in parte avviene già). «Nel 1997 — ricordano gli autori, che sono bioeticisti e genetisti delle università di Ghent, Tolosa e Lovanio — Stuart Newman e Jeremy Rifkin chiesero un brevetto su un metodo per creare chimere, metà uomini e metà animali. Chiaramente non volevano generare questi esseri, ma solo farsi rifiutare la richiesta e stabilire un precedente giudiziario che chiudesse per sempre la porta a ipotesi simili. Oggi, non ci sembra che siano questi gli obiettivi dell’azienda in questione».
Quando nel 2012 la 23andMe propose ai suoi clienti un test per prevedere (sempre in termini probabilistici) il rischio di ammalarsi di Parkinson, il suo sito fu sommerso da commenti ostili. L’esame del Dna sugli embrioni oggi è usato abbastanza comunemente per evitare malattie che hanno origini genetiche semplici e ben determinate (come la fibrosi cistica, o molti problemi provocati da una singola mutazione sui cromosomi). Queste diagnosi chiamate “pre-impianto” sono test che nulla hanno a che fare con l’eugenetica, e che per un nascituro possono fare la differenza fra la vita e la morte. Ma tratti più sfumati, determinati dalle interazioni reciproche fra molti geni (e il Parkinson è fra questi, così come la maggior parte dei caratteri che il nuovo brevetto permette di ordinare à la carte) ancora sfuggono alle capacità di previsione degli scienziati.
«Altro che eugenetica. Qui stiamo facendo un genoscopo: l’oroscopo che usa i geni al posto delle stelle», commenta Giuseppe Novelli, fresco rettore dell’università di Tor Vergata a Roma e uno dei più importanti genetisti italiani. Il suo ateneo, in collaborazione con il San Raffaele di Milano, sta sviluppando un algoritmo per quantificare il rischio di malattie del cuore a partire dal Dna (undici geni che, in caso di mutazione, possono far aumentare il rischio di aterosclerosi e infarto), ma includendo anche gli stili di vita: attività fisica, pressione, colesterolo, trigliceridi, obesità addominale, eventualmente diabete. «Il nostro calcolo sarà applicato a persone adulte che rischiano di avere un infarto, non certo alla selezione di embrioni».
Ma sia pur tra mille difficoltà, un software intelligente potrà mai creare l’uomo perfetto? «Non esiste l’uomo perfetto», taglia corto Novelli. «Ognuno di noi è pieno di difetti dal punto di vista genetico. E a questo non si può rimediare. Ammettiamo anche di avere i mezzi per selezionare i figli nel più efficiente dei modi. Ebbene, ogni nuovo embrione porta in sé in media 70 mutazioni rispetto al patrimonio genetico ereditato dai genitori. E fra due persone qualunque esistono 4 milioni di differenze all’interno del Dna. Non c’è algoritmo che possa cancellare queste diversità».


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