Lampedusa, la strage dei migranti “Vi spiego perché è colpa nostra”

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Lampedusa, Italia. Porta d’accesso alla Fortezza d’Europa, come Gabriele Del Grande, scrittore e giornalista che da tempo si occupa di sbarchi, chiama la Ue. Una fortezza inaccessibile, respingente, colpevole. Anche degli oltre novanta morti (e 250 dispersi) di stamattina. Secondo Del Grande – che sul suo blog aggiorna dal 2006 il triste, lunghissimo, elenco degli uomini, delle donne e dei bambini che muoiono in mare per raggiungere le coste siciliane – dal 1988 a oggi le vittime sono 19.142. Una strage. Che ha una causa, dice l’autore di ” Mamadou va a morire “, molto chiara: l’impossibilità di ottenere un visto. Di arrivare all’Italia per vie diverse da quelle dei viaggi della speranza.

Eritrei, somali, siriani. Devono per forza viaggiare su barconi come quello che stanotte si è incendiato per arrivare qui?
«Sì. Moltissimi fanno richiesta di un visto  presso le nostre ambasciate, nel loro paese, ma vengono puntualmente respinti. Ottenere l’ok è impossibile. Per cui non possono fare altro che imbarcarsi, anche se hanno documenti, soldi, spesso una laurea in tasca. Pagano il viaggio più di duemila euro,  con cui potrebbero benissimo arrangiarsi per almeno qualche mese in Italia, cercando lavoro. Ma l’illegalità li costringe ad alimentare invece il contrabbando, i barconi, il traffico di persone dalla Libia».

IL DOCUMENTARIO DEL 2010: MORIRE NEL DESERTO

Un contrabbando riacceso dal conflitto siriano.
«I profughi di Damasco vivono una doppia tragedia: quelli dichiarati sono più di due milioni, ma ce ne sono altrettanti che sono scappati in regola, col loro passaporto, vivono in affitto. Ma per ottenere asilo politico in Italia devono prima arrivare nel nostro paese. Come? Con viaggi della speranza. Anche se sono borghesi, classe media, non persone disperate».

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È sempre stato così?
«No. Gli sbarchi sono iniziati solo alla fine degli anni ’80. E quelli in Sicilia hanno avuto molte fasi. Una prima “emergenza” nel 2000, 2002. Poi per via degli accordi con Gheddafi firmati da Prodi nel 2007 e avviati da Maroni nel 2009 i barconi hanno smesso di arrivare: ma quei respingimenti ci sono costati una durissima condanna da Bruxelles, perché i respinti vivevano in Libia da schiavi. Con i conflitti in Nord Africa gli arrivi sono ricominciati: nel 2011 c’è stato il picco, oltre sessantamila persone sono sbarcate in Sicilia. E 2352 sono morte nel viaggio in mare».

LA DENUNCIA DI FABRIZIO GATTI NEL 2005: IO, CLANDESTINO A LAMPEDUSA

È la mancanza di un visto, sostieni, che fa loro rischiare la vita. Ma le cose possono cambiare?
«Sì, e lo dimostra quello che è successo con l’Europa dell’Est. Da quando Strasburgo ha introdotto la libera circolazione c’è ancora qualcuno che pensa agli albanesi come agli “invasori”? No. Eppure anche loro solo vent’anni fa arrivavano in gommone, sulle nostre coste, e morivano per questo. Da quando possono passare legalmente è meglio per loro, e per l’Italia: centinaia di migliaia di albanesi ad esempio, grazie al fatto di essere in regola, stanno tornando nel loro paese, per via della crisi, a costruirsi un futuro».

La tragedia di questa mattina però ci ricorda che per i paesi del Mediterraneo questa prospettiva è ancora lontana.
«Lo è sempre di più purtroppo. Basti pensare al fatto che la Grecia sta costruendo un muro sul fiume Evros, al confine con la Turchia, per impedire l’accesso degli immigrati. O ricordare le nostre leggi in materia. È inutile che il ministro Angelino Alfano vada oggi a piangere i morti di Lampedusa: continueranno ad accadere tragedie come questa, se non si cambiano le regole».


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