QUELLA MIA TELEFONATA CON IL PAPA

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Stupore e gioia hanno accompagnato una chiacchierata con una persona che sentivo amica, nelle corde di una terra piemontese che ci unisce, nell’affetto e nella stima verso l’umanità di Terra Madre, quella rete di contadini, pescatori, nomadi e artigiani del cibo che ogni due anni si riunisce in Torino. Infatti, il 7 settembre, giorno della mobilitazione pacifica per la pace, avendo aderito al digiuno, ho pensato di inviare a Papa Francesco il libro Terra Madre con i volti dei delegati, un mio articolo sull’emigrazione piemontese apparso su Repubblica nei giorni della visita papale a Lampedusa e una mia lettera di presentazione. Tutto ciò è stato motivo della nostraordinario stra telefonata. Nelle parole del Papa il ricordo nitido della storia “piccola” della sua famiglia: «I miei si stabilirono a Torino dall’astigiano, aprendo un piccolo caffè in una casa d’angolo con via Garibaldi»; poi la migrazione verso la terra d’Argentina: «Mio papà doveva imbarcarsi sul Mafalda, poi per disguidi dovette posticipare la partenza di un anno». È un segno del destino? La motonave Principessa Mafalda diretta a Buenos Aires affondò il 25 ottobre 1927 al largo della costa brasiliana, e centinaia di migranti morirono tra le onde del mare.
Parlando poi del mondo contadino, Francesco ha voluto sottolineare come le buone pratiche delle comunità rurali siano preziose per il destino della terra. Proprio su questo tema il Papa ha avuto parole forti: «il lavoro di queste persone è »,«accumulare denaro non deve essere il fine principale », «mia nonna mi diceva che quando si muore il sudario non ha tasche per mettere i soldi».
In questi anni ho sentito molti parlare del lavoro dei piccoli contadini come pratica virtuosa ma irrilevante per l’economia; per contro, molte personalità del mondo hanno espresso solidarietà e comprensione per il mondo degli umili e per il loro ruolo nel difendere i beni comuni del pianeta. La convinta vicinanza a queste ultime tesi della più alta autorità religiosa del cattolicesimo è straordinaria. Il mio amico Ermanno Olmi mi ha detto che «la primavera è arrivata». Edgar Morin sostiene che «tutto deve ricominciare e tutto è già ricominciato ». Nella mia lettera ho aperto il mio cuore a quest’uomo nel raccontare la mia infanzia e adolescenza nella fede cristiana insegnatami da una nonna che ho molto amato. Praticava la fede cattolica e, al contempo, condivideva lo spirito libertario e socialista del suo uomo. Superò con dignità i tempi della condanna papale verso i comunisti, rimanendo fedele a Gesù e a suo marito da tempo scomparso. Dai tempi della mia giovinezza ho maturato e mantengo uno spirito agnostico, ma l’assenza di religiosità non mi ha impedito in questi anni di condividere esperienze e civili battaglie con donne e uomini di fede. Non ho le capacità o le conoscenze per aprire un dialogo profondo e colto sui temi della fede, ma avverto che, se l’umanità vuole uscire dal deserto di idee che la circonda, persone che sanno dialogare come Papa Francesco sono preziose e io sento il bisogno di testimoniarlo. Anche lo strumento che usa, il telefono, senza alcuna mediazione, è segno di un modo schietto e diretto, dove gli interlocutori sono i più vari, come varie sono le motivazioni e gli argomenti; si ha l’impressione di parlare con un amico. È così si chiude la nostra conversazione telefonica, con l’augurio di buona salute e un abbraccio reciproco: un mondo dove si può fraternamente abbracciare un Papa è davvero un mondo bello.


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