Napolitano chiude il caso «Sfida vinta con fermezza»
Nessuna euforia, anche se al termine di un «percorso limpido e lineare» ha prevalso proprio la sua linea.
Ma sollievo sì, quello ovviamente lo esprime, Giorgio Napolitano. «L’essenziale è che il governo abbia superato la prova, vinto la sfida, innanzitutto per la serietà e la fermezza dell’impostazione sostenuta dal premier dinanzi alle Camere», fa sapere con un comunicato a notte fonda. Cioè dopo aver seguito sino all’ultimo davanti alla tv il confronto parlamentare sulla fiducia e aver fatto e ricevuto diverse telefonate con il premier. Non basta, però, come giudizio finale. «In quanto alla prospettiva che si apre in uno scenario politico in via di mutamento», aggiunge con severità, «chiaramente il presidente del Consiglio e il governo non potranno tollerare che si riapra un quotidiano gioco al massacro nei loro confronti».
Insomma, crisi ricomposta. Applausi di entrambe le assemblee. Il linguaggio del corpo del premier che, superando la propria disciplina all’understatement, solleva le dita a V e le esibisce davanti all’Aula. Adesso bisogna rimettersi all’opera con gran lena, si è perso anche troppo tempo, osserva il capo dello Stato nel suo intermittente dialogo con Palazzo Chigi. S’intende: bisogna rimettersi all’opera ragionando sul presente, ma soprattutto sull’immediato futuro. Riflettendo cioè sulle ricadute della svolta che si profila con la prossima formazione di gruppi parlamentari autonomi, in grado di assicurare all’esecutivo il sostegno di una coalizione con un doppio nucleo sul versante destro. Vale a dire: uno solido, più interno, formato dai dissidenti organizzati sotto le bandiere alfaniane; e uno tendenzialmente esposto ad evaporare, più esterno, con le truppe dei fedelissimi berlusconiani. Letta ne è consapevole e, come forse avrebbe fatto lo stesso Napolitano al suo posto, lo ha spiegato con l’aria di chi lancia un avvertimento. «Si lavorerà con una maggioranza politica coesa: se questa maggioranza è diversa dalla maggioranza che mi dà la fiducia, lavorerò lo stesso con la maggioranza politica…».
Ora, a parte i problemi interni al Pdl e i loro potenziali riflessi sul ruolo del Cavaliere, ciò che preme al Quirinale è il vero nodo sciolto al termine della giornata. Infatti, assicurato per un altro po’ di tempo il «valore primario» della stabilità, l’esecutivo si può permettere un ultimatum rispetto alla paralizzante strategia dello «stop and go» andata in scena negli ultimi quattro mesi. Non sarà più sopportata promette il premier senza sicumera, ma forte della contabilità parlamentare emersa ieri. Si è sentito di garantirlo, come ha certificato (con l’apprezzamento del Quirinale) quando ha respinto il fantasma che lo ha perseguitato finora: basta con «nuovi ricatti, “o si fa così o cade il governo…”, perché si è dimostrato che il governo non casca».
Ecco: sono stati proprio questi toni di risolutezza e intransigenza, il programma ambizioso (intenzionalmente proiettato quasi su un’intera legislatura), qualche giustificato scatto d’orgoglio incrociato con lo scrupolo di sincerità del discorso di Letta a piacere sul Colle. E molto. Ma anche la netta sottolineatura della necessità di separare le vicende giudiziarie di Berlusconi rispetto alla vita dell’esecutivo. Certo, come ha confessato soltanto pochi giorni fa, Napolitano s’impone sempre di essere «ottimista, ma non ingenuo». Quindi è perfettamente consapevole che la questione della leadership del centrodestra rischia di produrre altri contraccolpi sull’esecutivo. Magari a breve. Magari come ricaduta umorale di un Cavaliere sulla cui testa pendono ancora delicati appuntamenti giudiziari e la perdita dello scudo parlamentare.
Marzio Breda
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