Il Viminale condannato a risarcire le donne violentate da un agente

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GENOVA — Sarà il Viminale a risarcire una delle donne che l’assistente capo di polizia Massimo Luigi Pigozzi violentò negli spogliatoi della questura di Genova nel 2005. Lo ha deciso la terza sezione penale della Cassazione confermando la condanna di Pigozzi a dodici anni di reclusione per violenza aggravata nei confronti di due prostitute e di una donna senza fissa dimora e a sei mesi per abbandono del posto di lavoro. La Cassazione ha accolto il ricorso di una delle donne che sollevava il problema della responsabilità del Viminale per l’incarico ricoperto da Pigozzi, a contatto con persone detenute, dopo che il poliziotto era già stato condannato per le violenze avvenute nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova.
L’assistente capo era stato riconosciuto colpevole di aver divaricato le dita di una mano di uno dei No global fermati fino a che la pelle della mano si era lacerata, praticamente aperta in due (per fermare il sangue erano stati necessari venticinque punti di sutura, a vivo e senza alcuna anestesia), un atto di raccapricciante e gratuita violenza. Il ragazzo, Giuseppe Azzolina, ha riportato una invalidità permanente alla mano. Nonostante questo e la condanna a tre anni e due mesi di reclusione Massimo Luigi Pigozzi era tornato a svolgere le sue abituali mansioni nella questura di Genova. Nel 2005 due prostitute romene e una giovane donna che erano state fermate lo denunciarono per violenza sessuale: affermarono di essere state prelevate da Pigozzi dalla cella di sicurezza e portate negli spogliatoi dove avevano subito violenza. L’assistente capo è stato condannato in primo e secondo grado, la Cassazione ha confermato i dodici anni e mezzo di reclusione ma a differenza della sentenza d’appello che la escludeva ha affermato la responsabilità del ministero degli Interni. Questo perché c’è stata una colpa omissiva «in vigilando», ha stabilito la Cassazione, accogliendo la tesi del legale di una delle donne che hanno subito lo stupro. Pigozzi non doveva essere messo a contatto con persone detenute.
«È stato accertato — scrive la terza sezione — che i fatti si sono svolti all’interno di un ufficio di polizia e durante il servizio di vigilanza alle persone fermate, con abuso dei poteri e violazione dei doveri inerenti la funzione pubblica di agente di polizia». «Sussistendo quindi il rapporto di occasionalità necessari tra il fatto e le mansioni svolte — argomentano i magistrati — andava confermata la responsabilità civile dello Stato che, peraltro, nonostante il Pigozzi fosse già stato coinvolto in fatti di violenza contro soggetti in stato di fermo e condannato in primo grado, ha ritenuto adibirlo ancora una volta allo svolgimento di mansioni che prevedevano il contatto diretto con le persone arrestate o fermate». Il Viminale dovrà quindi risarcire una delle vittime del poliziotto, questo perché soltanto una di esse si è costituita parte civile e ha presentato ricorso contro la sentenza di non responsabilità del Viminale emessa dalla Corte d’Appello. L’incarico di sorveglianza affidato a Pigozzi, ha scritto il legale della donna nel ricorso, «ha grandemente agevolato la condotta criminosa».
Pochi mesi fa, il 14 giugno, la Cassazione ha confermato nei confronti dell’assistente capo (sospeso dal servizio dal 2005) anche la condanna a tre anni e due mesi per i fatti di Bolzaneto. Con la sentenza di giugno la Suprema Corte ha chiuso l’ultimo dei grandi processi del G8 del 2001 a Genova, quello delle violenze nella caserma di Bolzaneto usata come primo centro di detenzione per i fermati: «Contro i manifestanti portati in caserma — hanno scritto i giudici — furono messe in atto violenze per dare sfogo all’impulso criminale», e questo in un «clima di completo accantonamento dei principi cardine dello Stato di diritto». Insieme a quella dell’irruzione e della «macelleria messicana» nella scuola Diaz una pagina nerissima per le nostre istituzioni. Sia il processo per la Diaz sia quello per Bolzaneto si sono conclusi con il riconoscimento di risarcimenti alle vittime, non ancora onorati da ministeri.
Erika Dellacasa


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