L’ultimo miglio è di Kerry Riannodati i fili dopo 30 anni

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il negoziato sul nucleare iraniano adesso è iniziato davvero, con la prima tappa — tra pochi giorni a Ginevra — già fissata, un orizzonte temporale di un anno accettato dalle parti e, forse, qualche prima concessione sul tavolo.
La rinuncia di Rouhani a incontrare Obama aveva, però, lasciato la sensazione di un presidente iraniano che — nonostante le ripetute assicurazioni sul mandato pieno a negoziare ricevuto dalla guida suprema del Paese, l’ayatollah Ali Khamenei — ha in realtà margini di manovra limitati. Una sensazione che, se non svanisce, quantomeno si attenua dopo la storica telefonata di ieri tra Obama e Rouhani: il primo contatto tra leader dei due Paesi da più di trent’anni a questa parte. L’ultimo incontro risale addirittura al dicembre 1977 quando Jimmy Carter fu ricevuto a Teheran dallo scià di Persia, Reza Pahlavi. Il quale venne rovesciato dai rivoluzionari islamici poco più di un anno dopo, nel febbraio del ’79. Da allora nessun contatto ad alto livello del governo Usa col regime degli ayatollah. Anche perché dopo pochi mesi esplose la crisi dei 52 americani tenuti in ostaggio a Teheran per 444 giorni.
Ma ecco ora Obama che si presenta nella sala stampa della Casa Bianca per annunciare il colloquio telefonico ed esprimere la sua fiducia sulla possibilità di raggiungere «una soluzione complessiva e soddisfacente», pur nella consapevolezza dei molti ostacoli che ancora ci sono. Un Obama che — un altro segno del cambiamento dei tempi — è stato bruciato nello scoop dallo stesso Rouhani con un tweet che ha dato notizia della telefonata un attimo prima dell’incontro di Obama coi corrispondenti presso la Casa Bianca.
La sostanza dei progressi diplomatici si era comunque già vista giovedì dopo il faccia a faccia Kerry-Zarif al termine del quale il ministro Usa aveva detto di aver «apprezzato la presentazione fatta da Zarif per il suo tono ma anche per la visione delle opportunità future in essa contenuta». Altri diplomatici hanno dichiarato in modo anonimo che in quell’occasione sono emerse proposte interessanti e concrete alle quali non si è ritenuto di dare pubblicità data l’estrema delicatezza della materia e le sensibilità che la ripresa del dialogo Usa-Iran ha suscitato in America, ma soprattutto a Teheran.
Accordo dietro l’angolo allora? Certamente no: il clima è cambiato in modo radicale, ma i problemi che si sono accumulati in oltre trent’anni di incomunicabilità sono enormi. Un accordo entro pochi mesi è auspicabile ma non verosimile. E infatti i protagonisti del confronto si sono dati un orizzonte di un anno. Nonostante le aperture, le posizioni restano distanti: gli Stati Uniti vorrebbero una rinuncia pressoché totale dell’Iran ad arricchire l’uranio, anche per tranquillizzare Israele che considera un imbroglio la mano tesa di Rouhani. Teheran non è disposta a fare un simile passo e alimenta la diffidenza di Israele sfidandolo a sottoscrivere il Trattato di non proliferazione nucleare, ma promette che dimostrerà la natura solo civile del suo programma. Di fatto la trattativa si giocherà non sull’eliminazione totale della possibilità per l’Iran di costruirsi una bomba atomica, ma sull’introduzione di salvaguardie capaci di creare un’intercapedine temporale — di mesi se non di anni — dal momento in cui Teheran dovesse decidere di dotarsi di un’arma atomica, a quello della materiale disponibilità della bomba e del vettore per lanciarla.
Massimo Gaggi


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