«Pirati gli attivisti di Greenpeace»

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MOSCA — Gli investigatori russi vorrebbero andarci con la mano pesante e incriminare addirittura di pirateria gli attivisti di Greenpeace che hanno abbordato una piattaforma petrolifera nell’Artico. Ma nella capitale sembra che ci si sia resi conto che l’organizzazione ambientalista è ben diversa dai pirati somali ai quali qualcuno ha paragonato i suoi militanti. Così i trenta fermati, tra i quali anche un italiano, potrebbero cavarsela con la contestazione di violazioni al codice amministrativo. Questo dopo essere stati fermati con la loro nave, portati in una base militare e minacciati con 15 anni di galera in uno dei campi di lavoro che a volte assomigliano in maniera preoccupante a quelli sovietici.
L’azione della nave Arctic Sunrise con a bordo gli incursori di Greenpeace ha colto di sorpresa le autorità russe nel Mare di Pechora, sulla costa artica della Siberia Orientale. Scesi come è loro abitudine su gommoni, gli attivisti si sono avvicinati alla piattaforma Prirazlomnaya che estrae gas e petrolio per conto di Gazprom, il gigante russo dell’energia.
Si tratta di una delle tante iniziative avviate in un ambiente estremamente delicato e che interessa oggi tutte le maggiori compagnie petrolifere del mondo, visto che contiene quasi un quarto di tutte le riserve mondiali inesplorate di petrolio e gas. Solo che estrarre idrocarburi in quel mare, con quelle temperature, non è uno scherzo. Gli ecologisti sono convinti che si tratti di un azzardo pericolosissimo. Greenpeace afferma che la sola piattaforma di Gazprom in caso di incidente potrebbe contaminare tremila chilometri di costa siberiana. Quando i militanti hanno cercato di salire sulla struttura metallica, dall’alto hanno risposto con gli idranti, mentre venivano mobilitati un elicottero e varie unità navali.
Sembra che all’inizio i russi non abbiano capito bene cosa stesse accadendo e che per questo motivo siano partite segnalazioni anche all’Fsb, il servizio segreto interno successore del Kgb. Respinto l’attacco, le autorità hanno provveduto a prendere il controllo della nave di Greenpeace. Il comitato investigativo ha parlato subito della possibile accusa di pirateria: «Quando appare una nave straniera piena di apparecchiature elettroniche di cui non si conosce lo scopo, con a bordo persone che si definiscono membri di una organizzazione ambientalista e che cercano di assaltare una piattaforma petrolifera, è logico avere dubbi sulle loro intenzioni», ha dichiarato in perfetto burocratese di una volta il portavoce del Comitato, Vladimir Markin. A quel punto c’era perfino chi stava pensando a fantascientifiche ipotesi di spionaggio, viste appunto le misteriose «apparecchiature elettroniche».
Nella prima fase c’è stata anche una protesta ufficiale con l’ambasciatore olandese (la nave è registrata in quel Paese) convocato al ministero degli Esteri. Greenpeace ha subito protestato: «L’attivismo pacifico è cruciale in queste circostanze». L’organizzazione si è anche lamentata perché per giorni gli attivisti non hanno nemmeno potuto contattare le autorità diplomatiche dei loro Paesi. Poi, nelle ultime ore, la situazione è cambiata. I consoli sono stati autorizzati a salire sulla Arctic Sunrise e l’italiano Cristian D’Alessandro ha potuto confermare al vice console Francesco Cimellaro di essere stato trattato bene, come ha riferito l’agenzia Ansa .
Ieri sera tutti i membri di Greenpeace sono scesi dalla nave e sono stati portati nella sede del Comitato investigativo. Alle autorità diplomatiche è stato detto che entro poche ore la posizione di ciascuno sarà chiarita.
Fabrizio Dragosei


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