«Spread a quota 100 e più stabilità valgono 10 miliardi»
ROMA — Un risparmio di dieci miliardi di euro all’anno, probabilmente anche più alto, se i tassi di interesse nel frattempo dovessero pure scendere. Tanto varrebbe la diminuzione dello spread , cioè del differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, ai cento punti base indicati come obiettivo dal ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni: tre miliardi di minor spesa il primo anno, sei il secondo, dieci e più a regime. Le stime del bonus-tassi, o se si vuole del costo dell’instabilità, le hanno fatte proprio i suoi uffici. Danno un’idea dei vantaggi del risanamento, e al tempo stesso gettano la luce su quella che all’Economia chiamano la «vera tassa», o la «tassa nascosta»: la spesa per gli interessi sul debito pubblico. Quest’anno arriverà a 84 miliardi di euro, e sono 1.450 euro a carico di ciascun cittadino, neonati compresi.
Nella politica del rigore che presuppone il mantenimento del tetto nominale del 3% del deficit pubblico, ed il pareggio strutturale tra un anno, la minor spesa sui tassi di interesse è il primo dividendo da cogliere. Ed è un obiettivo da perseguire, nella logica del Tesoro, a prescindere dai vincoli europei. Il «tre virgola zero» non è una cattiveria, ma la consapevolezza che mantenere quell’impegno è la premessa per tassi più bassi. Il che significa, oltre a spendere meno sulle emissioni di titoli di Stato, anche mutui e prestiti meno cari per le famiglie e le imprese. La tenuta della diga sul deficit aprirebbe poi la possibilità di vedersi scomputata dalla spesa pubblica la quota dei fondi nazionali destinati ad accompagnare quelli europei per i progetti al Sud, un altro «tesoretto» che, dopo l’accordo con Bruxelles, si potrebbe investire sul rilancio.
La diga, però, deve tenere. Mentre ha già qualche crepa che deve essere rattoppata. Per rientrare sotto al 3%, bisogna trovare 1,6 miliardi euro entro dicembre. Per farlo non ci sarà bisogno di nuove misure o manovre aggiuntive: nei decreti già approvati dal Parlamento ci sono già un paio di clausole di salvaguardia efficaci, che il ministero dell’Eco-nomia può attivare alla bisogna. C’è la possibilità di un aumento degli acconti sulle tasse che vengono pagati a fine anno sia per le persone fisiche che per le imprese, e quella di un intervento sulle imposte indirette e sulle accise. Al Tesoro non ci si augura di dovervi ricorrere, ma i paracadute ci sono, pronti ad essere usati in caso di necessità.
Oltre a chiudere il «buco», l’altra esigenza inderogabile sono le missioni di pace all’estero da qui alla fine dell’anno, per le quali servono 400 milioni di euro che i tecnici del Tesoro hanno già trovato con la rimodulazione di altre spese. Forse potrebbero esserci anche altri fondi aggiuntivi per la cassa integrazione in deroga. Ma per l’Iva, la seconda rata dell’Imu sulla prima casa, i terreni agricoli, gli sgravi sugli immobili delle imprese, o altro, a meno di non immaginare nuovi tagli ai ministeri, non c’è la copertura. Né per quest’anno, né per il prossimo. La riforma della Tares e delle imposte sulla casa, e il riordino delle aliquote Iva dovranno avvenire, in linea di principio, a parità di gettito.
Al Tesoro faticano a trovare le risorse per finanziare la riduzione delle tasse sul lavoro del 2014, uno degli obiettivi principali del governo Letta. Con la legge di Stabilità di metà ottobre ci sarà un nuovo piano di riduzione della spesa pubblica, anche se Saccomanni ha avvertito che senza altre riforme incisive i margini di intervento sono ridotti. Così, per creare maggior spazio alla diminuzione delle tasse sul lavoro, si sposterà una parte del loro peso da qualche altra parte. Per coprire gli sgravi a favore delle imprese e dei loro dipendenti, i minori contributi e le minori tasse che incasserà lo Stato, saranno ridotte alcune agevolazioni.
Nel 2014 ci sarà un primo intervento sensibile sulle tax expenditures , le centinaia di sconti fiscali oggi in vigore, assicurano al Tesoro. La ricerca di risorse per il taglio del cuneo fiscale prosegue: Letta e Saccomanni vorrebbero dare una dimensione importante all’operazione che considerano una vera riforma, anzi forse la prima vera riforma del governo. E poi attaccare la riduzione del debito, per comprimere la vera tassa, quella occulta degli interessi. Già entro la fine di quest’anno ci saranno le prime dismissioni, «per rompere il ghiaccio», dicono a via XX Settembre, e proseguire poi più spediti nel 2014.
Mario Sensini
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