L’Europa, le riforme e il tempo esaurito per le illusioni

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È un nuovo proletariato che non vota più, che si separa dalla grande «middle class» appagata e che potrebbe prima o poi ridare fiato alle formazioni populiste e antieuropee. Lo storico dilemma «Germania europea o Europa tedesca» appare da oggi un po’ usurato, nel senso che i timori di un’Europa egemonizzata dai tedeschi equivalgono le aspettative per una Germania più europea di quanto — a modo suo — già non lo sia. Dipende invece dagli europei, soprattutto da francesi e da italiani, dimostrare di volere finalmente mettere mano a profonde riforme strutturali e quindi convincere (o costringere) la Germania e la sua Cancelliera a un più avanzato percorso di integrazione comunitaria, finanziaria e politica, e di misure per la crescita.
Altrimenti, la direzione della Germania «low profile» — tendenzialmente neutrale, attore economico globale, politicamente stabile, disimpegnata nella politica estera continentale — rischia di diventare sempre più quella di una Grande Svizzera, ben espressa dal continuo divenire edilizio e culturale della sua capitale. Berlino, con le sue architetture moderne ed essenziali, vivace e mai ostentata, è il nuovo baricentro di un Paese che si integra sempre più con le economie dell’Est europeo e che guarda ai grandi mercati d’Oriente. È l’anima di una nuova generazione tedesca che ha fatto i conti con la Storia, che ha saldato quelli della riunificazione e che raccoglie i frutti dei sacrifici compiuti.
Naturalmente, la classe dirigente e i circoli economici sono ben consapevoli che la Germania sarebbe la prima beneficiaria di un’Europa più forte e della crescita europea e quindi di una politica finanziariamente meno restrittiva. Questo è stato del resto il messaggio europeista della Spd. Ed è lecito aspettarsi che Angela Merkel, libera da condizionamenti elettorali, possa prendere decisioni e impegni istituzionali più a lungo termine, rilanci il rapporto indispensabile con Parigi, proponga una visione meno gestionale del Vecchio Continente.
Ma il comune sentire dei tedeschi peserà anche dopo le elezioni, al di là delle formule di governo e delle scelte dei partiti. È abbastanza improbabile che SuperAngela voglia rendersi coraggiosamente impopolare, che scelga cioè di spendere la forza tranquilla del suo Paese per entrare nella galleria dei cancellieri che hanno fatto la Storia della Germania postbellica: la pace in Europa, la riunificazione, la moneta unica, le grandi riforme. I tedeschi sembrano dirci: «Abbiamo già dato».
Massimo Nava


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