Benvenuti nell’inferno di Dortmund L’altra faccia del miracolo tedesco

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Un quarto della popolazione (580 mila abitanti) sulla soglia della povertà, 800 euro al mese, fra sussidi e integrazione dell’affitto, 32 mila disoccupati, il 13,4 per cento, un dato cui si dovrebbe sommare l’inganno statistico dei giovani e degli «ex disoccupati» che tirano avanti con lavori sottopagati a tempo parziale: i Mini-Job per commesse, friggitori di hamburger, spazzini.
«La chiusura di miniere, acciaierie e birrerie ha cancellato settantamila posti, oggi un lavoratore su quattro è precario, un giovane su tre riceve assistenza. Molti interrompono gli studi. Sta crescendo una generazione dequalificata e senza futuro», spiega Eberhard Weber, direttore dell’Ufficio del lavoro.
Sono le pagine grigie dell’Agenda Schröder, la riforma che in un decennio ha stravolto il mitico welfare tedesco, tagliato spesa pubblica e costo del lavoro, rilanciato l’economia e risanato i Länder orientali, ma che ha allargato la forbice fra ricchi e poveri, reso inquieti i ceti medi e lasciato ai margini una parte non piccola del Paese. Secondo uno studio, due milioni e mezzo di ragazzi sotto i 18 anni vivono in condizione di povertà e sei milioni di tedeschi ricevono sussidi a vario titolo.
Dalla riunificazione, la Germania ha creato milioni di posti di lavoro. Le imprese tedesche attirano migliaia di giovani diplomati da tutta l’Europa in crisi. Città orientali come Dresda e Lipsia sono rinate dalle ceneri del comunismo e oggi sono — con Berlino — i centri più dinamici del Paese per le nuove tecnologie, la ricerca biomedica, la microelettronica, le università tecniche, la creatività giovanile.
Dortmund, come tutto bacino del carbone e dell’acciaio, ha fatto invece un drammatico passo indietro. La regione della Ruhr ha un tasso di disoccupazione quattro punti sopra la media nazionale, i pochi posti di lavoro sono soltanto nell’università, negli uffici pubblici, nelle nuove imprese di alta tecnologia aperte in laboratori, loft, ex capannoni. Persino una trentina di medici italiani hanno trovato qui un contratto stabile.
Ma la gente senza futuro finisce nel «girone Hartz IV», la legge che assegna un sussidio minimo ai disoccupati di lunga durata, i quali, proprio per questo, escono dalle statistiche sull’occupazione ed entrano in quelle del disagio sociale.
Gli «Hartziens» sono il nuovo sottoproletariato tedesco. Si spiegano anche così la crescita dell’estrema sinistra, l’astensionismo e la crisi della Spd. Il calo degli iscritti ai sindacati e la brutale riorganizzazione delle imprese hanno devastato la base elettorale del partito.
«La municipalità di Dortmund è una delle più indebitate e deve destinare ai centri di assistenza pubblica, al volontariato e alle associazioni la metà delle risorse disponibili, peraltro molto ridotte dal governo centrale», racconta Gisela Tripp, operatrice sociale all’Ufficio del lavoro. È un quadro in cui la solidarietà che gli europei chiedono alla Germania diventa concetto poco comprensibile, sia in cima, sia in basso alla scala sociale. Al contrario, si può comprendere la politica europea di Frau Merkel. In tedesco, c’è una sola parola per dire colpa e debito: Schuld .
«Prekariat» è un graffito molto fotografato a Nordstadt, il quartiere più depresso di Dortmund. Nei casermoni popolari, la miseria di pensionati, donne sole, famiglie monoparentali si confonde con le nuove povertà dei giovani dequalificati e delle nuove ondate d’immigrati: rumeni, bulgari, albanesi, turchi, ma anche spagnoli, portoghesi, italiani e immigrati di seconda generazione, con il passaporto di un Paese europeo. «Fuggono dalla nostre crisi, riallacciano legami con l’immigrazione storica della Ruhr, ma non riescono a inserirsi nel mondo del lavoro ed entrano nel circuito dell’assistenza tedesca che, per quanto ridotta e più rigorosa nei controlli, non lascia per strada nessuno!», racconta Marilena Rossi, responsabile del patronato Uil.
Un reportage della rete Ard ha fatto indignare autorità e abitanti di Nordstadt, eletto a ghetto più triste e pericoloso della Germania per l’alto tasso di senza lavoro, prostituzione, traffici di droga e microcriminalità. Un ritratto eccessivo, almeno rispetto a certe periferie italiane e francesi. Ma sono vere le file di disperati alle mense pubbliche, la sovrappopolazione dei caseggiati, gli episodi di violenza, i negozi che vendono abiti di seconda mano, il gioco d’azzardo e il piccolo contrabbando.
Nella piazza del mercato, immigrati rumeni e bulgari attendono per ore che qualcuno li chiami per lavoretti a giornata nell’edilizia, spesso pagati in nero. Disoccupati e pensionati italiani si ritrovano al bar «Piazza Italia»: slot machine, sky tv e partite di briscola. «Se torno in Italia devo mettermi a rubare, qui almeno ricevo abbastanza per vivere», ammette un autista siciliano, cinquantenne, appena licenziato. Quelli che non ce la fanno con l’assistenza pubblica, si rivolgono alla missione cattolica, nel cuore di Nordstadt. Don Guido, il parroco, raccoglie e distribuisce vestiti usati e alimenti di seconda scelta: «Ma siccome a casa loro stanno peggio, continuano ad arrivare. La Ruhr ha una tradizione d’immigrazione. È aperta, solidale, tollerante».
Nella Borsigplatz, costellata di bistrot e vetrine dalle insegne esotiche in tutte le lingue, è nato il Borussia Dortmund, il club calcistico che rivaleggia con il ricchissimo Bayern Monaco. «Siamo tutti nati a Borsigplatz» è l’inno di una formidabile tifoseria multirazziale che unisce ricchi e poveri, tedeschi e stranieri, donne e uomini nella consuetudine dello stadio e dei festeggiamenti dopo una vittoria. Così Nordstadt è anche il luogo dell’orgoglio cittadino. Gli altri simboli di Dortmund, l’acciaio e la birra, sono scomparsi. È rimasto il Borussia a consolare la faccia triste dell’altra Germania.
Massimo Nava


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