Localismo addio, la crisi unisce le forze

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Si ripescano così vecchi dossier (come quello Padova-Treviso-Venezia), se ne studiano di nuovi (Verona-Vicenza-Rovigo). Nessuno degli attori politici ed economici vuole farsi trovare spiazzato. Il tema si è poi imposto all’attenzione nazionale per il dossier aeroporti e per la sorprendente dichiarazione sulla difesa dell’italianità dello scalo di Venezia rilasciata dal premier Enrico Letta. La svolta pro aggregazioni non può che essere salutata con favore perché segna la fine del ciclo campanilista che ha portato a moltiplicare aeroporti, università e fiere. Ma non è tutto oro quello che luccica e non solo perché si sono persi gli anni migliori, il dubbio è che tanto fervore fusionista celi una buona percentuale di gattopardismo. Si adotta una nuova parola d’ordine per non pagar dazio, per evitare di dover rispondere delle scelte passate e di anni in cui invece di progettare il futuro si è amministrato, male, il presente. Nei giorni scorsi s’è parlato a lungo della possibilità di mettere in sinergia gli scali aerei a partire da Venezia e Verona. Si sostiene, a ragione, di volere specializzare ciascun sito: Venezia nel traffico intercontinentale, Treviso nel low cost, Montichiari nel cargo e Verona nei voli nazionali. Avviata la riflessione, si è capito poi che il vero oggetto del desiderio era lo scalo di Venezia che gode dell’intramontabile fascino della città lagunare e della movimentazione che ne segue. Però per via di complesse vicende finanziarie che vedono coinvolti le Generali, Morgan Stanley e il fondo americano Amber, non è facile trovare il bandolo della matassa. Da qui quello che viene giudicato un pericolo, l’interessamento per Venezia della società che gestisce lo scalo di Francoforte, e l’ipotetica discesa in campo di un cavaliere bianco nazionale.
Anche nel campo dell’energia si era pensato negli anni passati alla nascita d’una grande utility del Nordest che fosse per taglia pari agli emiliani di Hera e ai lombardi di A2A, ma s’è perso del gran tempo. Ora i vari soggetti a carattere provinciale come Ascopiave, Amga, Agsm, Aim si sono svegliati e cantano il refrain del «fare squadra», motivandolo con la considerazione che la politica è più lenta e quindi non dovrebbe mettersi di mezzo con i suoi interessi e i suoi obiettivi. Si sente l’esigenza di fare massa critica e di rintuzzare quella che è stata considerata un’intrusione geopolitica, ovvero l’accordo tra la Hera e la AcegasAps di Trieste. In verità gli emiliani hanno fatto nei tempi giusti le scelte più idonee e sono stati capaci, c’è chi dice con l’avallo del Pd, di mettere in campo buone idee e una discreta cultura aziendale. I veneti sono stati schiavi del localismo e hanno perso tempo e se oggi si sono convinti del contrario è perché capiscono che per le piccole utility il futuro non riserva grandi soddisfazioni.
La voglia di fusioni si estende anche alle fondazioni bancarie ma tutto è più arduo. La Cassamarca di Treviso viaggia con il patrimonio netto negativo e se invece di una fondazione fosse una banca, si parlerebbe di salvataggio da parte delle sorelle del Nordest. Ma nessuna «sorella» è disposta a svenarsi per Treviso e contribuire alla ripatrimonializzazione. Cosicché si viaggia a fari spenti in un mondo in cui le cariche sono a vita e non sono maturate nuove culture. Intrecciato con il dibattito sulle aggregazioni è l’evoluzione del leghismo, scosso dai recenti insuccessi elettorali. Il governatore Luca Zaia si tiene a debita a distanza dai dossier societari, perché — dicono i suoi supporter — ha timore che il partito degli affari prenda il sopravvento e ne comprometta l’immagine politica (com’è capitato ai suoi predecessori). Flavio Tosi è molto più attento di Zaia alle mosse dei signori dell’economia, non si capisce però quanto veramente pesi. Di lui si conoscono le ambizioni da leader nazionale ma per ora è solo, come si dice maliziosamente in politica, «una risorsa».


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