Italia: la ricetta per ripulire l’aria si chiama mobilità sostenibile
“Da anni Legambiente sottolinea come per contrastare efficacemente l’inquinamento servano interventi su vasta area, mirati prioritariamente a ridurre le emissioni da traffico, causa prima dell’emergenza sanitaria e ambientale che interessa le nostre regioni”, hanno dichiarato Damiano Di Simine presidente di Legambiente Lombardia, Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, Lorenzo Frattini, presidente di Legambiente Emilia Romagna e Gigi Lazzaro, presidente del comitato ambientalista Veneto, che si sono riuniti per concordare le loro strategie sulla mobilità.
L’appello del mondo ambientalista rivolto al ministro e ai presidenti di regione la scorsa settimana è stato chiaro: “non ripartiamo ancora una volta da zero nella discussione”. E così è stato, con qualche “se” e qualche “ma”. “Per la prima volta, col questo tavolo convocato dal ministro Orlando, c’è la possibilità di affrontare con maggiore tempestività la questione dei provvedimenti antismog da adottare per la stagione invernale – hanno raccontato i presidenti regionali di Legambiente -. Speriamo che questo importante appuntamento sia poi realmente seguito da atti concreti e non più, come avvenuto sinora, da dibattiti sterili incapaci di mettere in campo provvedimenti concertati”. Del resto le cause, così come la terapia per uscire dall’emergenza sanitaria e ambientale che affligge la Pianura Padana, sono ben chiare. “Quello che serve è una capacità politica nuova, che punti su un basso tasso di motorizzazione individuale e con alti livelli di efficienza e soddisfazione per quella pubblica” ha concluso Di Simine.
Per fare questo, tuttavia, secondo Legambiente c’è bisogno di una profonda revisione della programmazione dei servizi e delle infrastrutture partendo col cancellare quelle inutili e economicamente onerose e ripensando in maniera più sostenibile alla mobilità di un’area ad alta densità demografica qual è la Pianura Padana. La risposta delle Regioni fino ad oggi si è limitata ad un aumento di progetti di opere autostradali faraoniche e ridondanti, su cui la via del finanziamento privato è miseramente (e non a caso) fallita. Ma invece di prendere atto di questo fallimento e di interrogarsi sulle ragioni per le quali nessun grande gruppo privato si sente di mettere risorse proprie sulla seconda autostrada tra Milano e Brescia o sulla seconda tangenziale di Milano, sulle costosissime Pedemontane Veneta e Lombarda o ancora sulla tangenziale est di Torino, i governatori regionali sembrano voler continuare a pregare il Governo per ottenere garanzie e avanzamenti progettuali coperti da finanziamenti pubblici, sconti fiscali o anticipazioni, come avvenuto per il balletto di richieste sul passante nord di Bologna, per la E55 e per il tris Pedemontana – Brebemi – TEM in Lombardia, tre opere che costano 10 miliardi e che per gli ambientalisti “non risolveranno nessun reale nodo di congestione strade”.
Esemplare è la situazione dell’autostrada che entro “Expo 2015” (ma sono molti a scommettere che non arriverà in tempo) dovrebbe assicurare il collegamento tra la tangenziale Nord di Milano, attualmente attestata a Paderno Dugnano, e l’area Fiera di Rho. A protestare contro la Rho-Monza in primo luogo sono i comitati, ma anche gli amministratori locali dei centri attraversati da un’opera sospesa da terra, su un tracciato di 9 chilometri, che lambisce migliaia di case, scuole, ospedali, nell’area più congestionata e inquinata del milanese. “I comitati e i cittadini sempre più esasperati chiedono rispetto – ha dichiarato Di Simine- il progetto della Rho-Monza è stato disegnato senza considerare che l’autostrada attraversa un territorio che ha la stessa densità urbanistica della città di Milano, e per il quale dunque un’infrastruttura di quel calibro e per di più sospesa su ponti e viadotti risulta assolutamente incompatibile sotto il profilo degli impatti ambientali, urbanistici e sanitari”.
Per gli ambientalisti i lavoratori e cittadini del Nord Italia non hanno bisogno di nuove strade, quanto piuttosto “di un servizio urbano e regionale adeguato, più frequente e affidabile; del rilancio del trasporto ferroviario passeggeri di scala regionale e interregionale; di una logistica integrata, sostenibile ed efficiente per le merci che oggi viaggiano quasi solo su strada e di una diversa politica degli incentivi che sappia premiare il trasporto ferroviario a scapito di quello su gomma, ma utilizzando ed ammodernando le linee ferroviarie già esistenti” e non di una mobilità fondata su impattanti infrastrutture come la contestatissima Torino-Lione.
“Se davvero il Ministro Orlando vuole cambiare registro – hanno concluso i presidenti regionali di Legambiente -, chieda di concertare col ministro delle Infrastrutture e dei trasporti il piano delle autostrade previste dalla Legge Obiettivo nel Nord Italia, sottoponendo ogni grande progetto ad una revisione indipendente che ne valuti sostenibilità e rapporto costi-benefici ecancellando ogni finanziamento per i progetti che non superano il vaglio. Con le risorse risparmiate potremmo finanziare uno dei sistemi di trasporto pubblico locale interregionale più avanzati d’Europa, e ottenere una durevole riduzione delle percorrenze automobilistiche e commerciali a beneficio della mobilità collettiva”. Lo scorso 4 settembre il primo passo verso una progettazione comune è stato fatto, ora bisogna capire se ad una possibile lungimirante pianificazione a livello centrale seguirà anche il senso di responsabilità delle Regioni. Ma siamo ancora nell’ambito dei “se” e dei “ma” e delle speranze racchiuse nel disegno di un bambino.
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L’allarme viene questa volta da Greenpeace, o dalla sue sezione giapponese. A seguito di nuovi controlli sulla radioattività effettuati la settimana scorsa a Fukushima e a Iitate, cittadina fortemente contaminata, Greenpeace ha scoperto che le stazioni di monitoraggio ufficiali sottovalutano sistematicamente i rischi delle radiazioni per la popolazione e che la gestione delle attività di decontaminazione è ancora molto frammentaria, mal indirizzata, e insufficiente, con aree già evacuate che ricevono più attenzione rispetto a quelle ancora densamente abitate.