Obama parla alla nazione “Sì al dialogo ma raid pronti”

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NEW YORK — Diciassette minuti per ridare un senso logico, imprimere ancora più forza ai concetti espressi dall’inizio della crisi siriana. Obama parla alla nazione e non inventa nuove metafore, ma ribadisce le sue idee: «Le immagini di quei cadaveri, uomini e donne, i padri che tengono tra le braccia i bambini morti ci obbligano all’azione. Siamo tutti stanchi di guerre, io per primo, gli Stati Uniti non sono lo sceriffo del mondo ma non possiamo girare gli occhi dall’altra parte». E poi via sui due binari: da una parte la porta della diplomazia che si riapre e dall’altra la necessità, proprio per dare maggior forza all’azione politica, di tenere alta la pressione sul regime di Damasco. Una tattica che con poca benevolenza il sito The Politico definisce a “zig zag”, mentre il Washington Post avverte che anche «il nuovo dialogo con Mosca è pieno di insidie ».
A ribadire la linea presidenziale arriva il portavoce della Casa Bianca Jay Carney, che incassa la svolta come un successo dell’Amministrazione: «Senza le nostre minacce, senza l’incubo di un blitz, Assad non avrebbe mai accettato di aprire i suoi arsenali chimici, che sino ad qualche tempo fa negava persino di avere». Anche Nancy Pelosi applaude: «Ora serve un voto favorevole. La linea del presidente sta dando frutti». Ma a Washington gli equilibri non cambiano, gli scettici e i contrari continuano ad essere maggioranza alla Camera, e pure al Senato i numeri non promettono niente di buono se si votasse ora. Restano critici i repubblicani, con l’ala dura guidata da John McCain che torna a criticare «piani troppo blandi e confusi» e che esprime molti dubbi «sull’efficacia della mossa russa».
E il discorso non sposta nemmeno l’anima della nazione che rimane, con qualche leggera variazione, della stessa idea, come mostra il sondaggioCnn. Il 47% giudica «convincenti» le parole di Obama, ma il 65% continua a sperare che la soluzione pacifica sia quella vincente. E il 60% rimane fermo nella convinzione che «non è nell’interesse americano » un intervento diretto. Secondo un’altra rilevazione anche il 75% dei militari è per il no.
Tutto bloccato all’Onu: l’attenzione si sposta a Ginevra, dove oggi si incontrano il segretario di Stato Usa John Kerry e il collega russo Sergej Lavrov e dove arriverà anche l’inviato della Lega araba e delle Nazioni Unite, Lakhdar Brahimi (oltre ad esperti militari della Casa Bianca). In Svizzera c’è anche il ministro degli Esteri siriano Walid Muallem, ma non è ancora chiaro se parteciperà anche lui. Molto probabilmente il summit durerà sino a sabato, come conferma Jay Carney: «Ci vorrà del tempo». C’è da capire come sbloccare l’impasse al Palazzo di Vetro e tradurre così in pratica il piano di Mosca (che ieri ha consegnato la sua bozza su come mettere in sicurezza l’arsenale).
Al momento la risoluzione francese che prevede anche un limite di tempo di 15 giorni alla presentazione delle armi chimiche è bloccata dal veto russo, che boccia a maggior ragione anche la citazione del Chapter 7, ovvero l’uso della forza in caso non vengano rispettati i patti.
Il primo rapporto (firmato dal brasiliano Paulo Pinheiro) che arriva all’Onu non aiuta a chiarire quel che accade in Siria: «Sono state commesse atrocità da entrambe le parti: rapimenti, stupri, cecchini, stragi. L’unica certezza è che a rimetterci sono le vittime civili». E pure sulle armi chimiche difficile scrivere una parola definitiva: «Sono state usate ed è più probabile che lo abbiano fatto le forze governative: ma non è esclusa nessuna
ipotesi».


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