Saccomanni scettico sul «patto di Genova»

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CERNOBBIO – Il patto di Genova tra Confindustria e sindacati per rilanciare l’economia divide il guardiano dei conti, il “tecnico” Fabrizio Saccomanni dal premier, il politico Enrico Letta. Entrambi sostengono che va nella «direzione auspicata dal governo» ma per il ministro del Tesoro «se si legge in filigrana mostra un conto della spesa molto elevato, con poco realismo a carico del bilancio dello Stato». Per il presidente del Consiglio, che al workshop Ambrosetti interviene un paio d’ore dopo il responsabile dell’Economia, invece non ci sono dubbi: «Saluto positivamente l’accordo di Genova, è un fatto importante e positivo che le parti sociali lavorino contro le tensioni e per la pace sociale, lavoreremo in quella direzione».
Un’asimmetria che ha colpito per la sua rapidità di “correzione” ma che a ben vedere fa parte di un gioco di squadra ormai collaudato tra il gestore del consenso Letta e lo sceriffo del bilancio Saccomanni. In serata una nota del Tesoro ha voluto precisare meglio il pensiero del ministro che chiede anche alle parti sociali di fare la propria parte e di «indicare il loro contributo alle riforme strutturali». Il gioco di squadra era del resto già successo con l’Imu nei mesi scorsi e ieri il ministro ha voluto ricordare, davanti alla platea paneuropea, che il suo sacro Graal è l’insuperabilità della fatidica soglia del 3% nel rapporto tra deficit e Pil asse portante della legge di stabilità. Non a caso lo ha voluto precisare all’inizio del suo intervento: «Quando mi ha convinto a entrare nel governo, Letta mi ha garantito di stare tranquillo, il 3% non si tocca». E in questi giorni, dal vertice russo del G20 a Cernobbio e in molte interviste, lo ha ripetuto in tutte le salse: siamo usciti solo a fine maggio dalla procedura di infrazione, non possiamo permetterci di riaprire un solo dubbio su questo fronte proprio alla vigilia del semestre europeo sotto la presidenza italiana, sarebbe un perdita di credibilità che avrebbe pesanti riflessi sullo spread e sui tassi di interesse.
Ma gli impegni per passare alla fase sviluppista, base delle larghe intese, sono molti (taglio del cuneo fiscale a ottobre e sblocco dei 40 miliardi per le imprese i più importanti) e ieri il ministro ha messo le mani avanti per racimolare risorse annunciando l’arrivo «a breve» di un nuovo commissario straordinario per la spending review «sostenuto da una task force che faccia la differenza nella quale ci saranno anche esperti di Bankitalia, Istat, Corte dei Conti». Si chiude dunque l’era di un uomo solo al comando (l’ex commissario Bondi ora passato all’Ilva di Taranto) perché «non si fa una favore a nessuno facendo credere che c’è una grande forbice che può tagliare cifre di importo significativo dalla mattina alla sera, è un lavoro faticoso che va portato avanti con determinazione e dettaglio».
Così come il fisco. La delega fiscale entro settembre sarà approvata, ha garantito Saccomanni, ma la riforma delle agevolazioni tributarie (un immenso catino valutato in oltre 200 miliardi di euro) «è una realtà molto grossa, frutto di provvedimenti singoli di leggi importanti che non possono essere disattivati con un tratto di penna». Insomma meglio fare le cose fatte bene e con attenzione se si vuol davvero avere dei benefici concreti sulle correzioni di bilancio. Come quelle fatte finora dal governo. Il ministro del Tesoro ha così ricordato la leva strategica dell’azione dell’esecutivo «alla base dei segnali positivi di ripresa che si stanno vedendo in questi mesi». In particolare, rivolgendosi agli imprenditori cernobbiani, ha rammentato come i sei decreti varati in questi mesi «sono una manovra anticiclica che vale 2 punti di Pil, il totale degli interventi fatti ammonta a circa 7 miliardi, di cui 4 con nuove entrate e 3 con la riduzione e rimodulazione delle spese mentre con il decreto Imu e le misure per l’occupazione sono state recuperate risorse per altri 3 miliardi di cui 2 con nuove entrate e 1 con tagli» .


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