Siria, la partita di Obama al G20 “In gioco la credibilità del mondo”

Loading

SAN PIETROBURGO. «NON sono io ad avere tracciato una linea rossa. È il mondo intero che ha stabilito una linea rossa contro le armi chimiche. Non è in gioco la mia credibilità ma quella della comunità internazionale ». Barack Obama presenta la sua strategia all’apertura del G20 di San Pietroburgo.
È IL summit internazionale più difficile nei cinque anni della sua presidenza. Qual è la posta in gioco in queste 48 ore di incontri tra i leader del pianeta? Quali le posizioni di tutte le forze in campo? Di certo è la prima volta, da quando si trova alla Casa Bianca, che Obama deve uscire da una situazione di evidente isolamento. Su un solo dossier: la Siria. Il G20 nasce come vertice economico, avrebbe ben altra carne al fuoco: dalle turbolenze finanziarie che frenano le locomotive emergenti alla lotta contro l’elusione fiscale delle multinazionali. Temi che rischiano di passare in secondo piano di fronte all’attualità bollente, la questione siriana. Il padrone di casa Vladimir Putin accoglie il suo ospite più importante — e più odiato — con una presunta apertura dell’ultima ora. Se ci sono prove certe e irrefutabili che Assad ha fatto strage di civili usando le armi chimiche, allora un intervento militare si può autorizzare all’Onu. Subito però il presidente russo aggiunge una frase che cancella l’apertura precedente: le cosiddette prove americane contro Assad sono “assurde”, per Mosca sono stati i ribelli a colpire. All’ultimo summit globale, il G8 in Irlanda del Nord il 19 giugno, fu Putin a trovarsi isolato nel suo ruolo di protettore del regime di Damasco. Ma la decisione di Obama sull’attacco punitivo — sospesa aspettando il voto del Congresso — ha quasi ribaltato la situazione. È l’America in cerca di consensi, perfino tra i suoi alleati tradizionali. Anche se Obama è pronto ad agire da solo, il sostegno internazionale gli serve a smarcarsi dall’unilateralismo di George Bush che lui denuncià quando era senatore; gli serve una copertura estera anche per la sua “campagna acquisti” al Congresso, dove la sinistra democratica rischia una crisi di coscienza se l’attacco su Damasco dovesse essere un’azione quasi solitaria degli Stati Uniti.
I due pesi massimi di questo summit sono quelli che lo “ipotecano” con il loro aspro conflitto. Il rapporto Obama- Putin è un’escalation di diffidenza, tensioni e scontri. Fino allo sgarbo supremo, la cancellazione dell’incontro bilaterale che avrebbe dovuto portare Obama a Mosca, in aggiunta alla partecipazione al G20. L’incontro saltato per decisione della Casa Bianca, sancisce una serie di controversie. Tutto era partito dalla scommessa con cui Obama puntò sull’allora presidente Dmitri Medvedev l’8 aprile 2010 con il “New Start” di Praga: non solo un nuovo trattato Start sulla riduzione delle armi nucleari, ma una nuova partenza nelle relazioni bilaterali. Putin, allora premier, non perdonò a Obama l’idillio con Medvedev. Il crescendo di scontri è avvenuto sull’appoggio americano alle proteste di piazza dei russi (contro le irregolarità elettorali e le pulsioni autoritarie di Putin), su diritti umani (leggi sulle adozioni, trattamento dei gay), sull’asilo politico a Edward Snowden “gola profonda” della National Security Agency. «Con la Russia andiamo a sbattere contro un muro», è la diagnosi secca di Obama. Soprattutto sulla Siria, ultimo avamposto di un’influenza in Medio Oriente
che aveva raggiunto ben altra estensione ai tempi dell’Unione sovietica. Al G20 oggi quasi simbolicamente l’assegnazione di posti al vasto tavolo dei leader vedrà Obama all’estremo opposto di Putin. Questo complica per il presidente americano tutta la sua offensiva diplomatica. In un vertice dove il padrone di casa e maestro delle cerimonie gli rema contro, Obama ha già in calendario tre bilaterali importanti. Il presidente francese Hollande, quello cinese Xi Jinping, il premier giapponese Shinzo Abe. (Con Putin le occasioni di parlare ci saranno ma non con la pompa e la sostanza che si assegna a un “bilaterale”).
La Francia è un punto fermo. È l’alleato principale, ieri ha dibattuto alla sua Assemblea nazionale l’azione militare in Siria, usando letteralmente gli
stessi termini (“barbarie”) di Obama e John Kerry al Congresso di Washington. I francesi hanno affiancato le prove dei loro servizi segreti, che inchiodano Assad, a quelle degli americani e israeliani. Dal dialogo con Xi Jinping il presidente americano si aspetta poco: la Cina è d’accordo con la Russia per usare il suo veto al Consiglio di sicurezza contro l’intervento armato. Pur non avendo gli stessi interessi strategici di Mosca, la Cina vede crescere la sua dipendenza dal petrolio arabo e muove le sue pedine per rafforzare la sua influenza in quell’area. Il G20, ben più rappresentativo del G8, mette in scena gli attori dello scontro sulla Siria in modo più ampio. C’è l’India che ha scelto di defilarsi come il Giappone. New Delhi non segue solo un riflesso antico (la tradizione terzomondista e non-allineata), deve anche gestire le paure di 150 milioni di suoi cittadini islamici. Sul versante opposto, nel G20 siedono la Turchia e l’Arabia saudita. Sono due voci importanti in favore dell’intervento contro Assad (e i sauditi hanno spostato anche la Lega araba), tuttavia critiche verso Obama riecheggiando il repubblicano John Mc-Cain: per loro l’America doveva fare di più, e molto prima, per aiutare l’opposizione
siriana.
Francia esclusa, sono proprio gli europei il problema più grosso per Obama. Alla sua prima tappa a Stoccolma, si è sentito rivolgere dal premier svedese Fredrik Reinfeldt due obiezioni rappresentative del sentimento europeo. Primo: aspettare il verdetto degli ispettori Onu (posizione pilatesca, dice la Casa Bianca, gli esperti Onu non sono autorizzati a dire chi ha lanciato il gas nervino). Secondo: meglio che l’azione militare abbia l’avallo giuridico di una risoluzione Onu (anche questo un finto argomento, ribadisce l’Amministrazione Usa, visto che Putin non ci starà mai). Uno spiraglio, il premier svedese lo ha aperto alla fine: «Capiamo le conseguenze potenziali del lasciare senza risposta una violazione come questa». Questo tipo di “comprensione”, se pronunciata da Angela Merkel o Enrico Letta, farebbe di questo G20 un esercizio non “a somma zero” per Obama.


Related Articles

Il Vaticano condanna: contro la Siria rappresaglia atlantica senza prove

Loading

Vaticano. Il papa parla oggi. Il vescovo di Aleppo: non logico che Assad usi armi chimiche adesso

«In difesa di Kobane, laica multietnica e senza Stato»

Loading

Guerra all’Isis. Nuovi raid aerei contro gli uomini di al Baghdadi

Strage all’ora dello shopping Almeno 40 morti a Nairobi

Loading

I miliziani islamici somali rivendicano l’attacco Feriti portati fuori nei carrelli del supermercato, sangue tra i tavolini chic dell’Artcaffé, turisti nascosti nel cinema dove davano Elysium con Matt Damon, poliziotti stesi dietro elefanti di plastica.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment