LA MODESTIA È LA VIRTÙ DELLA DEMOCRAZIA

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Qualche volta rifletto, in mancanza di meglio, sulla democrazia (nel metrò, naturalmente). È noto che c’è dello smarrimento, nelle intelligenze, per quanto concerne questa utile nozione. E siccome amo ritrovarmi con il più gran numero possibile di uomini, cerco le definizioni che potrebbero risultare accettabili per questo gran numero. Non è facile e non pretendo di esservi riuscito. Ma mi sembra che si possa arrivare a qualche utile approssimazione. Per esser breve, eccone una: la democrazia è l’esercizio sociale e politico della modestia. Va spiegata.
Conosco due tipi di ragionamento reazionario (visto che tutto va precisato, conveniamo di chiamare reazionario ogni atteggiamento che mira ad accrescere indefinitamente le servitù politiche ed economiche che pesano sugli uomini). Questi due ragionamenti vanno in senso opposto, ma hanno la caratteristica comune di esprimere una certezza assoluta. Il primo consiste nel dire: «Non si potranno mai cambiare gli uomini». Conclusione: le guerre sono inevitabili, la servitù sociale e politica è nella natura delle cose, lasciamo i fucilatori fucilare e coltiviamo il nostro giardino (a dire il vero, si tratta generalmente di un parco).
L’altro consiste nel dire: «Si possono cambiare gli uomini. Ma la loro liberazione dipende dal tale fattore e bisogna agire nella tale maniera per far loro del bene». Conclusione: è logico opprimere: 1) Quelli che pensano che non sia possibile alcun cambiamento; 2) quelli che non sono d’accordo sul fattore in questione; 3) quelli che, pur essendo d’accordo sul fattore, non lo sono sui mezzi destinati a modificarlo; 4) tutti coloro, in generale, che pensano che le cose non siano così semplici.
In totale, i tre quarti dell’umanità.
Nei due casi, ci troviamo davanti a un’ostinata semplificazione del problema. Nei due casi, si introducono nel problema sociale una fissità o un determinismo assoluto che non possono ragionevolmente trovarvisi. Nei due casi, si sente di possedere abbastanza certezze per fare o lasciar fare la Storia, secondo tali principi, e per giustificare o aggravare il dolore umano. Penso che questi spiriti, così diversi, ma la cui convinzione resiste egualmente all’infelicità altrui, vadano ben ammirati. Ma bisogna almeno chiamarli col loro nome e dire che cosa sono e che cosa non sono capaci di fare. Da parte mia, dico che sono spiriti dominati dall’orgoglio e che possono arrivare a tutto salvo alla liberazione dell’uomo e a una democrazia reale. C’è una frase che Simone Weil ha avuto il coraggio di scrivere e che, per la sua vita e la sua morte, aveva il diritto di scrivere: «Chi può ammirare Alessandro con tutta la sua anima, se non ha un’anima bassa?». Sì, chi può commisurare le più grandi conquiste della ragione o della forza alle immense sofferenze che rappresentano, se non ha un cuore cieco alla più semplice simpatia e uno spirito alieno da ogni giustizia!
È per questo che mi sembra che la democrazia, che sia sociale o politica, non possa fondarsi su una filosofia politica che pretende di sapere e regolare tutto, non più di quanto abbia potuto fondarsi finora su una morale di conservazione assoluta. La democrazia non è il migliore dei regimi. È il meno cattivo. Abbiamo assaggiato un po’ tutti i regimi e adesso lo sappiamo. Ma tale regime
può essere concepito, creato e sostenuto solo da uomini che sanno di non sapere tutto, che rifiutano di accettare la condizione proletaria e non si adattano mai alla miseria degli altri, ma che appunto rifiutano di aggravare tale miseria in nome di una teoria o di un messianismo cieco.
Il reazionario d’antico regime pretendeva che la ragione non regolasse niente. Il reazionario di nuovo regime pensa che la ragione regolerà tutto. Il vero democratico crede che la ragione possa illuminare un gran numero di problemi e forse regolarne quasi
altrettanti. Ma non crede che essa regni, sola padrona, sul mondo intero. Il risultato è che il democratico è modesto. Confessa una certa percentuale di ignoranza, riconosce il carattere in parte azzardato del suo sforzo e che non tutto gli è dato. E, a partire da questa ammissione, riconosce di avere bisogno di consultare gli altri, di completare quello che sa con ciò che essi sanno. Non si riconosce alcun diritto che non sia delegato dagli altri e sottoposto al loro accordo costante. Qualunque decisione sia chiamato a prendere, ammette che gli altri,
per i quali tale decisione è stata presa, possano giudicarne diversamente e comunicarglielo. Poiché i sindacati sono fatti per difendere i proletari, sa che sono i sindacati che, attraverso il confronto delle loro opinioni, hanno la maggiore possibilità di adottare la tattica migliore.
La democrazia autentica fa sempre riferimento alla base, perché suppone che, in questo campo, nessuna verità sia assoluta e che le esperienze di diversi uomini, sommate le une alle altre, rappresentino un’approssimazione alla verità più preziosa di una dottrina coerente ma falsa. La democrazia non difende un’idea astratta, né una filosofia brillante; difende dei democratici, il che suppone che domandi loro di decidere sui mezzi più atti ad assicurare la loro difesa. Capisco bene che una concezione tanto prudente non è priva di pericoli. Capisco bene che la maggioranza può ingannarsi nel momento stesso in cui la minoranza vede chiaro. È per questo che dico che la democrazia non è il miglior regime. Ma bisogna commisurare i pericoli di questa concezione a quelli che risultano da una filosofia politica che piega tutto alle sue esigenze. Sulla base dell’esperienza, bisogna accettare una leggera perdita di rapidità piuttosto che lasciarsi trascinare da un torrente furioso. Del resto, la stessa modestia suppone che la minoranza possa farsi ascoltare e che si terrà conto dei suoi pareri. È per questo che dico che la democrazia è il meno cattivo dei regimi.
A partire da qui, non tutto è risolto. È in questo che tale definizione non è definitiva. Ma permette di esaminare sotto una luce precisa i problemi che ci pressano e il cui principio ha a che fare con l’idea di rivoluzione e con la nozione di violenza. Ma permette di rifiutare al denaro come alla polizia il diritto di chiamare democrazia ciò che non lo è. Mangiamo menzogne dal mattino alla sera, grazie a una stampa che è la vergogna di questo paese. Ogni pensiero, ogni definizione che rischi di contribuire a tale menzogna o di mantenerla è oggi imperdonabile. Questo basta per dire che, definendo un certo numero di parole chiave, rendendole sufficientemente chiare oggi perché siano efficaci domani, noi lavoriamo alla liberazione e facciamo il nostro mestiere.
(Conferenza tenuta il 28 marzo 1946 alla Columbia University di New York. Traduzione di Andrea Bianchi)
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Il testo inedito di è tratto dal nuovo numero di Micromega, “L’intellettuale e l’impegno”, da oggi in edicola e su iPad Il numero conterrà 40 pagine di inediti di Albert Camus, un’intervista alla figlia Catherine e altri interventi sul tema “L’intellettuale e l’impegno” a firma di Paolo Flores d’Arcais, Andrea Camilleri, Dario Fo, Furio Colombo, Salvatore Settis, Adriano Prosperi e tanti altri


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