«L’Italia torni su un sentiero di crescita»
ROMA — Non siamo condannati all’austerità, parola di Ignazio Visco. «Anche la cosiddetta regola del debito» cioè il Fiscal compact, che per l’Italia significa ridurre di tre punti all’anno il debito pubblico per i prossimi venti anni, così da portarlo al 60% del prodotto interno lordo, «non impone un orientamento permanentemente restrittivo alla politica di bilancio, ma presuppone il ritorno su un sentiero stabile di crescita». Insomma, anche per il Governatore della Banca d’Italia, che ieri è intervenuto a Ventotene al Seminario sul Federalismo in Europa e nel mondo organizzato dall’Istituto Altiero Spinelli, la priorità sono le misure per uscire dalla recessione e far tornare il segno più davanti al prodotto interno lordo.
Si tratta, spiega Visco, di intraprendere «una decisa accelerazione nel processo di adeguamento ai cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici dell’ultimo trentennio», rispetto ai quali l’Italia è rimasta indietro. Del resto, ricorda il Governatore, già prima della crisi in nostro Paese aveva perso 12 punti di competitività tra il 1999 e il 2008.
Ovviamente, secondo Visco, concentrare gli sforzi sulla crescita non deve significare l’abbandono della politica del rigore di bilancio, «che ha inevitabilmente avuto riflessi negativi sull’attività economica nel breve periodo», ma che ha «contribuito a evitare scenari peggiori, a contenere prima e a ridurre poi i differenziali di interesse tra i titoli sovrani dell’area, a scongiurare nuove crisi di liquidità». Lo spread che due anni fa aveva superato abbondantemente i 500 punti di differenza con i bund tedeschi adesso si è dimezzato.
Merito delle politiche nazionali e della politica monetaria europea attuata dalla banca centrale guidata da Mario Draghi. Ora «ogni Paese deve fare la propria parte» e continuare sul sentiero delle riforme. Ma non basta. È necessario un cambio di passo verso l’Unione Europea, sottolinea Visco davanti a una platea particolarmente sensibile al tema. «Riforme economiche e politiche non sono tra loro indipendenti: la fiducia nelle prospettive dell’Unione economica e monetaria trarrebbe grande benefico da nuovi concreti passi nella direzione dell’integrazione politica». La Banca centrale europea, continua il Governatore, ha fatto la sua parte, «ma la politica monetaria è in grado di garantire stabilità solo se i fondamentali economici e l’architettura istituzionale dell’area sono con essa coerenti».
Importante, dunque, «la riforma della governance europea» che, «insieme con gli sforzi compiuti a livello nazionale, ha avviato la ricostruzione di un rapporto di fiducia tra gli Stati membri». Adesso, però, «occorre continuare ad accrescere il coordinamento delle politiche economiche e strutturali e gli incentivi alle riforme, passare da una gestione di tipo intergovernativo basata sulla peer review delle politiche nazionali all’elaborazione di vere e proprie politiche comuni». Obiettivo: arrivare a «un bilancio pubblico comune dell’area dell’euro» perché, dice Visco, «oltre l’unione bancaria ci deve essere la prospettiva di un’unione di bilancio, infine politica».
La Bce e le banche centrali nazionali, afferma il Governatore, «hanno dimostrato di essere pronte ad accompagnare questo cammino, continuando a “produrre” la fiducia necessaria. Ma la fiducia non resiste a lungo all’assenza di progressi concreti». Ecco perché il Governatore mette in guardia anche da qualsiasi passo indietro sui nuovi strumenti di intervento forniti alla banca centrale un anno fa, soprattutto le operazioni Omt, cioè la possibilità di acquistare sul mercato secondario i titoli di Stato dei Paesi in difficoltà che si sottopongono in cambio del soccorso della Bce a un programma di aggiustamento. Omt sulla cui legittimità dovrà pronunciarsi a fine settembre la Costituzionale tedesca. Il solo «annuncio delle Omt — ricorda Visco — ha evitato un collasso finanziario con conseguenze potenzialmente devastanti per l’economia europea: ne hanno tratto beneficio tutti i Paesi, non solo quelli al centro della crisi dei debiti sovrani».
Enrico Marro
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