La pericolosa solitudine di Angela Merkiavelli

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«L’idea che i tedeschi vogliano giocare un ruolo speciale in Europa è un fraintendimento », ha rassicurato Schäuble. «Non stiamo chiedendo agli altri di essere come noi. È un’accusa insensata quanto gli stereotipi nazionali che si nascondono dietro a dichiarazioni del genere».
Ma i fatti raccontano un’altra storia, come ha riscontrato il politologo Edgar Grande in uno studio a livello europeo. Grande e i suoi collaboratori hanno analizzato il dibattito sulla crisi dell’euro in diversi contesti nazionali: dai risultati emerge una differenza chiarissima fra la Germania e gli altri Paesi europei, Regno Unito compreso. Mentre in tutti i Paesi soggetti sovranazionali come la troika sono riconosciuti come protagonisti capaci di influire sulle sorti della nazione, in Germania nessuno ne parla: questo significa che il dibattito tedesco sulla crisi dell’euro è innanzitutto un dibattito nazionale, mentre in tutti gli altri Paesi è un dibattito europeo dominato da soggetti sovranazionali e tedeschi. Questi dati empirici confermano chiaramente la mia diagnosi sull’«Europa tedesca », che a causa della crisi dell’euro si è evoluta in entrambi i sensi.

Mentre in tutti i Paesi d’Europa la Germania è al centro del dibattito nazionale, in Germania il dibattito si concentra quasi esclusivamente sulla Germania. Con le imminenti elezioni politiche (il 22 settembre), un osservatore straniero che venga a Berlino si aspetterebbe di trovare polemiche accese sull’Europa. E invece la Germania sembra stranamente distaccata. La campagna elettorale si è concentrata finora sul Datagate, sull’aumento del costo dell’energia, sulle strutture per l’infanzia. E basta. La Germania, il Paese chiave per risolvere la crisi dell’euro, sembra immune ai laceranti dibattiti sulle diverse opzioni disponibili (nessuna delle quali a costo zero).
Da quando è cominciata la crisi dell’euro, molti governi in carica, in tutta Europa, hanno perso rovinosamente le elezioni. Per la cancelliera tedesca sembra profilarsi invece una riconferma. I tedeschi adorano Angela Merkel, innanzitutto perché pretende pochissimo da loro. E poi perché la Merkel sta mettendo in pratica un nuovo stile di potere politico, il merkiavellismo. «È meglio essere amato che temuto, o ’l converso? », chiedeva Machiavelli nel
Principe.
E rispondeva «che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma, perché elli è difficile accozzarli insieme, è molto più sicuro essere temuto che amato, quando si abbia a mancare dell’uno de’ dua». Merkiavelli sta applicando questo principio in modo nuovo e selettivo. All’estero dev’essere temuta, in casa amata (forse perché ha insegnato ai Paesi stranieri a temerla). Neoliberismo brutale per il mondo esterno, concertazione con una spruzzata di socialdemocrazia in casa: questa è la formula di successo che ha sistematicamente consentito a Merkiavelli di espandere il suo potere e quello della Germania.
E c’è una discrepanza clamorosa anche per quanto riguarda le posizioni delle classi dirigenti e dei partiti politici. In tutti i Paesi europei ci sono forti movimenti euroscettici o antieuropeisti, e partiti che danno voce a una cittadinanza sempre più insofferente. Per questi cittadini le politiche di rigore imposte dai loro governi sono una mostruosa ingiustizia. Stanno perdendo l’ultimo barlume di speranza e fiducia nel sistema politico nazionale ed europeo. Anche in questo caso, la Germania fa eccezione. Qui troviamo una rara situazione di consenso. I due partiti di opposizione, i socialdemocratici e i verdi, contestano i piani di austerity della cancelliera su alcuni dettagli, ma in Parlamento hanno sempre votato con lei. Invece, due dei partiti che sono al governo con la Merkel, la bavarese Csu e la liberale Fdp, sono su posizioni nettamente distanti da quelle del loro stesso esecutivo.
Il risultato è che il dibattito sulla crisi dell’euro in Germania manca di un’opposizione in Parlamento. Al suo posto c’è una strana mescolanza di favorevoli e contrari: da un lato, una grosse Koalition non dichiarata tra governo e opposizione, nello specifico socialdemocratici e verdi; dall’altro lato, Csu e Fdp, che teoricamente fanno parte della coalizione di governo, che si oppongono a questa grosse Koalition.
Su ogni decisione importante, quando la cancelliera rischia di non trovare il pieno sostegno dei suoi alleati, si assiste a uno strano scambio di ruoli «alla tedesca ».
Ma la crisi europea sta arrivando al dunque, e la Germania si trova di fronte a una decisione storica: tentare di rilanciare il sogno e la poesia di un’Europa politica nell’immaginazione della gente o restare attaccata a una politica del tirare a campare e usare l’esitazione come mezzo di coercizione, finché euro non ci separi. La Germania è diventata troppo potente per permettersi il lusso dell’indecisione e dell’inattività, eppure va avanti come un sonnambulo per la sua strada. O – per citare Jürgen Habermas – «la Germania non sta ballando, sta sonnecchiando su un vulcano».
E poi c’è un ultimo paradosso: anche se la Germania sta sonnecchiando su un vulcano, anche se non c’è nessun dibattito sul momento della decisione, l’esito più probabile delle elezioni sarà favorevole a ulteriori progressi verso l’unione politica del continente. Con ogni probabilità Angela Merkel resterà alla guida del Paese per un terzo mandato e mi aspetto che ci sia una svolta non dichiarata verso una politica più europeista. Dopo tutto, cambiare posizione è l’elemento chiave del merkiavellismo. E salvare l’euro e l’Unione Europea fa fare bella figura sui libri di storia.
Nell’improbabile eventualità che la Merkel non venga rieletta, un governo rosso-verde si darebbe da fare, insieme a Francia, Italia, Spagna, Polonia ecc. per correggere l’errore di progettazione dell’unione monetaria e fare il passo successivo verso il completamento dell’unione politica, producendo una situazione in cui la Merkel, all’opposizione, costituirebbe il socio ufficioso di una grosse Koalition.
Guardiamo le elezioni tedesche attraverso gli occhi degli altri. Nei governi, nelle strade d’Europa e nei corridoi di Bruxelles, tutti aspettano di vedere in che direzione andrà Berlino. «Probabilmente sono il primo ministro degli Esteri in tutta la storia della Polonia a dire una cosa del genere », ha dichiarato Radek Sikorski nel 2011, «ma è così: più che la forza della Germania sto cominciando a temere l’inattività della Germania». A partire dal 23 settembre, il giorno dopo le elezioni, in una costellazione o nell’altra la domanda «quale Europa vogliamo e cosa dobbiamo fare per arrivarci?» sarà al centro della politica tedesca ed europea. Speriamo che sia ein anderes Europa,
un’altra (e cosmopolita) Europa, capace di far sentire la sua voce in un mondo a rischio, e non eine Deutsche Bundesrepublik Europa, una repubblica federale tedesca d’Europa.
(Traduzione di Fabio Galimberti)


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