Scontro sul fronte dell’Iva
Al Pd brucia il pensiero di avere regalato a Berlusconi una vittoria sull’Imu in cambio di una decina di giorni di vita in più al governo Letta. L’inno wagneriano del «tax free» intonato dal Pdl ha fatto svegliare il vice-ministro all’Economia Stefano Fassina con un diavolo per capello. Alle 20,37 di mercoledì aveva definito l’abolizione dell’Imu «un compromesso utile al paese». Un compromesso che però è stato liquidato dai sindacati come una «partita di giro» o uno scambio poco soddisfacente per esodati, cassaintegrati e costo del lavoro. All’alba di ieri Fassina ha consegnato al suo blog sull’Huffington Post un post incendiario. «L’aumento dell’Iva previsto per il 1 ottobre è ormai irrimediabile – ha scritto – L’Imu è stata abolita, ma non la tassa sulla prima casa. Non per sadismo comunista, ma per evitare di aggravare il peso fiscale sul reddito da lavoro o da impresa».
La prima illusione, spacciata dal premier Letta e dal suo gemello Alfano, come un’assicurazione sulla vita dell’esecutivo, è scoppiata come una bolla di sapone. Dal 1 gennaio si continuerà a pagare le tasse sulla casa. Non importa se, al momento, nessuno sa come. L’incertezza è arrivata al punto che, in attesa della pubblicazione del decreto sulla gazzetta ufficiale, la tassa non ha nemmeno un nome. Qualcuno la chiama «Service Tax», altri «Taser». Nel borsino del fiscal rebranding inaugurato dalle larghe intese quest’ultimo nome è stato accantonato. È lo stesso della pistola usata dai poliziotti Usa contro la deliquenza di strada. Spiacevole, oltre che minaccioso, usarla per il fisco. «In una fase così difficile – ha continuato Fassina – dedicare un miliardo per eliminare l’Imu per meno del 10% degli immobili di maggior valore, ha sottratto risorse preziose per finanziare il rinvio dell’Iva». Per il Pd la soluzione era tutt’altra: innalzare la detrazione Imu per esentare fino a l’85% dei proprietari. Il governo ha scelto un’altra strada, evidentemente. «Purtroppo non è il governo del centrosinistra» si giustifica Fassina.
Dopo il regalo al ceto dei proprietari (di lusso), il «governo del compromesso» sembra giudicare «irrimediabile» l’aumento della tassa sui consumi dal 21% al 22%. Senza contare che l’abolizione della tassa è avvenuta senza alcuna certezza delle coperture per 2,2 miliardi di euro della seconda rata Imu 2013, 600 milioni verrebbero da un condono ai concessionari di slot e videopoker sostengono i 5 Stelle. Voci insistenti parlano dell’aumento, non precisato, di accise e di altre tasse. Ce ne sono altre che rassicurano: i soldi ci sono, sono quelli del bonus da 8-10 miliardi di euro garantito dalla Commissione Ue per l’uscita dalla procedura d’infrazione sul deficit. La commissione Ue veglierà sul rispetto del Patto di stabilità e procederà «ad un’analisi dettagliata delle misure annunciate» ha detto il commissario per gli Affari economici Olli Rehn.
Ma questo è il futuro remoto, quello della pacificazione impossibile delle larghe intese. Nel presente le pitonesse e i pompieri del Pdl si sono alternati per azzannare o addolcire la «provocazione» lanciata da Fassina. Così facendo hanno inaugurato il fronte dell’Iva. «Si taglia gli zebedei per dispetto alla moglie» ha detto Cicchitto, riscoprendo il gusto per il vaudeville. Il falco principe Brunetta si è stagliato in volo: «Fassina straparla, Saccomanni lo smentisca». Da via XX settembre è giunto solo un fragoroso silenzio. Il pio Maurizio Lupi, ministro delle infrastrutture e dei traporti, ha insistito: «A ottobre non ci sarà nessun aumento dell’Iva». Ma senza produrre alcun effetto notevole.
Fassina sembra avere reagito alla grancassa berlusconiana con un fallo di frustrazione e ha allargato la faglia che divide l’ircocervo Pd-Pdl dalla terza gamba delle larghe intese: Scelta Civica. I sombreri stanchi di Mario Monti, l’inventore dell’Imu, condannano senza appello il «pasticcio dell’Imu» : «Il governo finanzia la propaganda del Pdl con i consumi di tutti gli italiani. Si vergognino» dice Zanetti, esperto fiscale della compagine. Pietro Ichino ha definito quello di Letta un «errore politicamente necessario». Necessario per garantire la «governabilità», ma non per rilanciare la «crescita»: «Bisogna detassare redditi di lavoro e dell’impresa».
Il sottosegretario Baretta e il responsabile economia Pd Colaninno hanno cercato di rimediare: per loro sono esclusi i rincari degli affitti per gli inquilini che ieri prevedevano «uno tsunami di sfratti per morosità». Il ministro per gli affari regionali Del Rio ha cercato di spegnere un altro incendio: la «tassa di servizio» sarà progressiva e non sarà più pesante della somma tra le attuali Imu e Tares. In serata il segretario Pd Epifani ha rassicurato dal Tg3: «La tassa costerà di meno. Dobbiamo solo stare attenti che i criteri di equità siano rispettati». Le cose non sono però così cristalline. Perché la «Service Tax» diventi realtà è necessario approvare la delega fiscale, unico strumento per procedere alla riforma del catasto e quindi per calcolare gli importi della nuova tassa sui servizi sulla base dell’estensione della proprietà. Il problema, ha sottolineato Assoedilizia, è chi pagherà la tassa che accorpa un’imposta patrimoniale e un’altra destinata a coprire il costo dei servizi indivisibili (rifiuti, elettricità). Sarà il titolare della proprietà oppure il fruitore dei servizi, cioè l’affittuario? Entrambi, per quello che se ne sa. La «service tax» accorpa l’uno e l’altro nella stessa figura. Difficile credere però che un eventuale aumento della tassa di servizio su una proprietà non comporti l’aumento dell’affitto. Per il governo questo rischio dovrebbe essere sventato dall’imposizione di un’aliquota massima ai comuni. In serata l’ipotesi-Fassina è stata bocciata dal segretario Cgil Susanna Camusso: «L’aumento dell’Iva rischia di aumentare i costi per le fasce più deboli». La lotta senza quartiere per la «stabilità» di governo continua.
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