Trentatre anni fa moriva Basaglia. “Distrusse le certezze della psichiatria”

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TRIESTE – Nel primo pomeriggio del 29 agosto del 1980 moriva Franco Basaglia. A ricordarlo a 33 anni dalla scomparsa è Peppe Dell’Acqua, psichiatra, che proprio con Basaglia ha cominciato la sua attività, nel 1971, nell’ospedale psichiatrico di Trieste, prendendo parte al cambiamento e alla successiva chiusura del manicomio. E contribuendo a cambiare l’approccio alla psichiatria nel nostro paese, un approccio “rivoluzionario” già avviato dallo stesso Basaglia a Gorizia nel corso degli anni ’60.                       

Ricorda oggi Dell’Acqua: “Gli interrogativi, le idee e le pratiche che accompagnarono  l’ingresso di Franco Basaglia nell’ospedale psichiatrico di Gorizia avviarono, a partire dai primi anni ’60, una stagione di straordinari e impensabili mutamenti. Era il 1968 quando il governo di centro sinistra sulla spinta dell’esperienza goriziana varò una legge che omologava il manicomio all’ospedale civile e avviava un processo di radicale cambiamento che si concluderà dieci anni dopo con la Legge 180”.

E continua: ”Le trasformazioni, istituzionali, etiche, culturali, erano sostenute da scelte di campo rigorose e da pratiche concrete Le porte aperte, la parola restituita, l’ingresso nel mondo reale, animarono la paziente ‘lunga marcia attraverso le istituzioni’ che quell’apertura aveva tumultuosamente avviato. Basaglia quando entra per la prima volta nel manicomio di Gorizia è colpito soprattutto dall’assenza dell’altro. Gli internati sono 400. Le persone, i soggetti, le relazioni non ci sono più. Un deserto: oggetti, assenze, negazioni. Di fronte a questa violenza, a questo indicibile orrore è costretto a chiedersi angosciato ‘che cos’è la psichiatria?’. Da qui l’urgenza della critica ai fondamenti sedicenti ‘scientifici’ della psichiatria, l’irreparabile rottura del modello manicomiale. Dopo quasi duecento anni, per la prima volta dalla sua nascita, le culture e le pratiche del manicomio, vengono toccate alle radici. È un capovolgimento ormai irreversibile: ‘il malato e non la malattia’”. 

“La legge 180, che arriverà nel 1978, non è altro che questo – afferma Dell’Acqua -: la fine di una legislazione speciale. L’internato, il malato di mente è un cittadino cui lo stato deve garantire, e rendere esigibile, i suoi fondamentali diritti costituzionali, una persona la cui dignità deve assumere un valore assoluto, un soggetto singolare che pretende ascolto, cure, attenzioni altrettanto singolari.  Da qui il cammino incerto irto di interrogazioni, l’esigenza di un pensiero critico, il rifiuto delle certezze incontrastabili della psichiatria”.
”Da qui – conclude – il cammino aspro e i conflitti che ancora oggi dobbiamo affrontare e che mai ci abbandoneranno. E le entusiasmanti scoperte che le persone con l’esperienza del disturbo mentale continuano a fare con stupore”.

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